L’antico teatro di Taormina: il monumento siciliano celebrato da Goethe
La città di Taormina
No sono molte le notizie certe in merito alla fondazione di Taormina, anzi, sembra quasi che le leggende superino di gran lunga in numero le notizie storiche. Le ricostruzioni eseguite attraverso lo studio dei reperti e delle fonti fanno ipotizzare che la fondazione della città greca risalga al 358 a. C., quando Andromaco, padre del celebre storico Timeo, raccolse i superstiti della città di Naxos dopo che la stessa era stata rasa al suolo dall’esercito del tiranno di Siracusa Dioniso I (Naxos era una polis fondata dai greci calcidesi e alleata di Atene, indigesta per tanto a Siracusa, alleata di Sparta), conducendoli al riparo sul monte Tauro, da qui il nome di Taormina, Tauromènion. Qui abitavano già gli autoctoni Siculi che offrirono rifugio ai sopravvissuti e con cui i greci convissero pacificamente.
Goethe la definì “il più grande capolavoro dell’arte e della natura”. Guy de Maupassant la definì invece un “quadro nel quale si ritrova tutto ciò che sembra esistere sulla Terra per sedurre occhi, spirito ed immaginazione”.
Taormina infatti è ad oggi una delle mete turistiche più suggestive di tutta la Sicilia. Tra i vari monumenti e le infinite testimonianze storiche che la città ci offre, una delle più conosciute è sicuramente il celebre teatro greco-romano, la cui cavea fu intagliata nel fianco della suggestiva collina che affaccia in una baia a metà tra l’Etna e il Mar Jonio.
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Il teatro greco-romano
Il primo impianto, di età ellenistica, risale probabilmente al III secolo a.C.: alla costruzione originaria appartengono alcuni tratti di muratura in blocchi squadrati ancora visibili sotto la scena, alcune iscrizioni greche sulle sedute in calcare ancora oggi visibili e il basamento di un piccolo tempietto sul belvedere che sovrasta la cavea.
Già all’epoca augustea risalgono la prima ristrutturazione e l’ampliamento dell’edificio ma la forma oggi ancora visibile fu ottenuta grazie a ulteriori lavori probabilmente effettuati intoro al II secolo d.C. con un diametro massimo di 109 metri, solo quello dell’ orchestra e misura di 35, e una capienza della cavea, divisa in nove settori, che doveva raggiungere all’incirca 10.000 spettatori; era per grandezza il secondo teatro della Sicilia dopo quello di Siracusa. La scena conserva ancora, in parte, la sua forma originale.
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Poco o niente rimane invece dei suoi ornamenti e delle colonne che la incorniciavano. Secondo molti studiosi erano disposte su due piani: il primo ordine era costituito da nove colonne disposte a gruppi di tre, mentre il secondo era formato da sedici colonne più basse equidistanti tra loro. La maggior parte delle colone e delle decorazioni dell’edificio furono oggetto di una consistente spoliazione a partire dal periodo medievale, proprio per questo motivo oggi non possiamo più goderne.
Nel pieno e tardo impero, data l’intenzione di abbandonare le tradizionali rappresentazioni teatrali greche, l’edificio venne modificato e riadattato per ospitare le venationes (gli spettacoli di combattimento tra gladiatori e bestie feroci): l’orchestra venne infatti trasformata in arena. In età medievale parte del teatro (l’edificio scenico e le due grandi sale laterali) venne riutilizzato come residenza palaziale.
Taormina, 7 Maggio 1787 “Quando si è salito in cima alle rupi scoscese, le quali sorgono a grande altezza a poca distanza del mare, si trovano due vette, riunite fra loro da un semicerchio. L’arte si valse dell’opera della natura, e ridusse il semicircolo ad anfiteatro, chiudendolo per mezzo di mura e di altre costruzioni in mattoni, e formando le gallerie, e le volte. Ai piedi del semicircolo, ridotto a gradinate, venne innalzata traversalmente la scena riunendo le due roccie, e per tal guisa si trovò compiuta l’opera immensa, dovuta all’arte non meno che alla natura. Stando in cima ai gradini più elevati dell’anfiteatro, è forza ammettere che non vi è stato mai pubblico in un teatro, il quale abbia potuto godere di vista uguale.“ (“Viaggio in Italia”, Goethe).
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