Ladri gentiluomini: storie dei veri Lupin
A poco più di 10 giorni dall’uscita della serie Netflix “Lupin, nell’ombra di Arsenio”, in cui le gesta del protagonista richiamano alla lontana quelle del celebre ladro Lupin ideato da Marcel Leblanc, la figura del ladro gentiluomo è tornata in auge. Se nella “Casa di Carta” i protagonisti facevano leva sul conquistare l’appoggio del popolo, questo modus operandi prende sicuramente ispirazione a personaggi realmente esistiti.
Manigoldi come Alexandre Marius Jacob, Ned Kelly, Jules Bonnot, Albert Spaggiari sono solo alcuni dei più noti nel loro campo per aver sempre cercato una via, per così dire, più etica. Ladri astuti, innovatori, che hanno sempre, o quasi, evitato l’uso della violenza per i loro furti, le cui vittime erano ricchi e potenti, banche o qualsiasi istituto o ente che nella loro visione del mondo era responsabile dell’oppressione del popolo.
La figura dei ladri gentiluomini da sempre è fonte di ispirazione per scrittori e registi cinematografici, grazie soprattutto alle loro vite da pirati della terraferma.
Spaggiari e la rapina del secolo
In alcuni di loro l’attività criminale era legata anche ad idee politiche di estrazione anarchica, ma nel caso di Spaggiari era abbastanza nota la vicinanza al mondo del neofascismo.
Nato nel 1932 in un paesino della Provenza è noto come l’artefice nel 1976 della “rapina del secolo” ai danni della filiale di Nizza della Société Générale.
Ex paracadutista in Indocina ed ex militante dell’Organisation de l’armée secrète (OAS), Spaggiari lavorò con la sua banda per circa tre mesi prima di arrivare al caveau della banca di Nizza. Questa rapina, ma in generale anche la sua vita avventuriera e romantica, ispirarono Ken Follet per “La grande rapina di Nizza” e il regista Josè Giovanni che nel 1979 girò il film “Les egouts du paradis” (“Le fogne del paradiso”).
In quella famosa rapina i ladri riuscirono a scassinare 371 cassette di sicurezza, rubando denaro e oggetti preziosi per un totale stimato di 30 milioni di euro odierni. La mattina seguente i dipendenti della banca trovarono un caveau tappezzato di immagini pornografiche, con centinaia di oggetti di scarsi valore lasciati a terra ed una frase, che passerà alla storia, scritta su un armadio proprio da Albert Spaggiari: “Senza odio, senza violenza, senza armi”.
Una beffa. Così come la sua evasione, dopo che fu arrestato per una soffiata, durante un interrogatorio in cui si lancerà dalla finestra atterrando su una Renault 4 e scappando in moto con un complice. Il proprietario della macchina nei mesi seguenti si vedrà recapitare un assegno di 3 mila franchi per il risarcimento. Un vero gentiluomo dunque. Che morì di cancro in latitanza tra Sud America e Spagna avvistato molte volte ma mai preso. Morì senza fare mai i nomi dei suoi complici e sostenendo, riguarda la grande rapina di Nizza, di non aver “tenuto un soldo. La mia parte è andata agli oppressi di Portogallo, di Jugoslavia, d’Italia”.
Marius Jacob: il vero Lupin
Il ladro gentiluomo più famoso però è sicuramente Arséne Lupin, nato dalla penna di Marcel Leblanc che si ispirò al francese Alexandre Marius Jacob, anarchico ed inventore di alcune tecniche di furto veramente rivoluzionario. Grazie ad alcune tecniche di arrampicata e di utilizzo delle corde imparate sulle navi o all’acquisto di un negozio di casseforti con cui volle istruire affiliati secondo la sua esperienza. A tali tecniche unì la capacità di travestimento sfruttando la rilevazione di un negozio di costumi. Questa caratteristica, i fan del manga di Lupin III la conoscono molto bene. Così come le sue vittime.
Come Monsieur Gilles, direttore del Monte di Pietà di Marsiglia che nel 1899 subì una delle più grandi beffe organizzata da Jacob. Insieme ad alcuni complici si presentarono come Commissario e poliziotti per cercare prove riguardo un orologio rubato che, secondo fonti, sarebbe stato depositato lì. Poiché nel giro dei pegni c’era sempre qualche usura da nascondere, il direttore acconsentì a chiudere le porte e ad aiutare nella catalogazione di vari oggetti di valore che veniva inseriti nelle ampie valige. Fu dopo 3 ore di di ricerche che il Commissario mise le manette al direttore dicendogli che lo avrebbe condotto in commissariato, davanti al giudice, per accertamenti. Costui, con la coscienza sporca per alcuni prestiti ad alto interesse, impegnò la sua testa alla ricerca di giustificazioni. Condotto al Palazzo di Giustizia fu fatto accomodare su una panchina. I finti poliziotti si allontanarono e quando il Commissario tornò gli tolse le manette e gli disse di attendere lì l’interrogatorio del giudice. Solo la sera, alla chiusura degli uffici, il direttore capì la beffa e cominciò a strillare provocando per questo il suo vero arresto da un affrettato giudice (questa volta vero).
L’intento di Jacob e dei travailleurs de la nuit, quei ladri che lui stesso aveva addestrato, più che il bottino era farsi beffe di un ricco e potente che lucrava sulla povera gente. L’esproprio proletario consisteva anche in questo: far pagare chi guadagnava dalla sfortuna e dalla fatica altrui. Jacob voleva colpire, come spiegava costantemente ai suoi amici anarchici, di voler colpire coloro che vivono sulle spalle degli altri e non del loro lavoro. Armatori, magistrati, grandi proprietari terrieri, preti. Mentre medici, avvocati, commercianti, scrittori sarebbero stati lasciati in pace. Jacob fu un innovatore in tutti i sensi. Utilizzò addirittura le rane come “pali” durante i furti, perché capì che queste gracidavano solo quando passava qualcuno e sicuramente non avrebbero destato sospetti.
Jacob fu sicuramente un personaggio affascinante, cresciuto tra fallimenti e sogni infranti, come quello di diventare ufficiale di Marina. Nella sua dichiarazione davanti ai giudici nel 1905 spiegò perché divenne un ladro. “Se mi sono dato al furto non è per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone”.
Jules Bonnot: alla ricerca della felicità
Chi fu affascinato dalle sue imprese fu un altro francese, attivo nel campo dei furti soprattutto alla fine del primo decennio del ‘900. Jules Bonnot, l’anarchico a capo della Banda Bonnot che preferiva comunque vivere per conto suo. Cresciuto tra ingiustizie, umiliazioni e povertà cominciò a leggere Bakunin e Proudhoun nella biblioteca di sir Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes, per il quale lavorava come autista. Come Jacob si innamorò di una prostituta che gli fu però portata via dalla polizia, che lo costrinse ogni volta ad allontanarsi da quella felicità che gli “spettava”.
La felicità, la tranquillità fu il suo sogno infranto. Bonnot provò più e più volte ad avere una vita legale, provando a farsi una famiglia, ma ogni volta il suo passato, la sua storia, il suo provenire da una classe sociale ritenuta colpevole per il solo fatto di esistere, tornavan o ad allontanarlo da quella chimera.
Lui e la sua banda di ladri anarchici “illegalisti”, come Raymond La Science ed Edouard Carouy, furono i primi ad utilizzare le automobili ad altra cilindrata nelle rapine. Le loro azioni, come nel caso di Jacob, erano dirette solo a banche, poste, ricchi. Anche in questo caso c’era una sorta di riappropriazione delle classi subalterne. Tant’è che parte dei loro proventi erano destinati ai circoli anarchici.
Bonnot non godeva di questa vita. SI sentiva costretto a farla. Il suo testamento, la sua ultima lettera recitava queste parole “avevo il diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per tutti. Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti si, ma in ogni caso nessun rimorso”.
Alle gesta di questa banda di ladri anarchici è ispirato il film “La banda Bonnot”, diretto da Philippe Fourastié nel 1969, con l’attore francese Bruno Cremer, e soprattutto il libro di Pino Cacucci “In ogni caso nessun rimorso” che ha romanzato splendidamente la vita di Jules Bonnot.
Ned Kelly: il Robin Hood australiano
Erano dei reietti. Come i galeotti inglesi mandati in Australia dopo per farla diventare una colonia penale. Uomini malati, distrutti nel corpo e nello spirito. Assassini, ladri, apaches, militanti politici scomodi. Come Luoise Michel, incarcerata per aver partecipato alla Comune di Parigi, che fondò una scuola per gli indigeni e per la quale intervenne addirittura Victor Hugo per farla liberare.
In Australia crebbe un altro di questi ladri gentiluomini. Edward “Ned” Kelly fu il bandito più famoso della colonia inglese (alla sua vita è ispirato il film diretto da Gregor Jordan nel 2003 “Ned Kelly“). E proprio contro la polizia e l’autorità inglese, insieme alla sua banda, mise in atto la maggior parte delle sue azioni. Puntò soprattutto alle banche e ai ricchi proprietari terrieri e di bestiami e tutt’oggi divide l’opinione pubblica australiana tra chi lo vede come un “Robin Hood” e chi come un semplice bandito che meritò l’impiccagione a soli 25 anni. Alla sua condanna però seguì una petizione in suo favore di 32 mila cittadini australiani.
Come a dire che per il popolo c’era un nemico più grande, nonché in comune, piuttosto che un giovane ribelle.
D’altronde come disse Bertolt Brecht “cos’è rapinare una banca in confronto al fondarla?”.