La mostra di Margaret Bourke White a Roma è semplicemente imperdibile
Se si dovesse trovare una definizione in grado di dare piena contezza alla vicenda artistica e umana di Margaret Bourke-White, la più facile, ma anche la più azzeccata, sarebbe: stra-ordinaria. Sì, perché nei sessantasette anni trascorsi su questa terra la fotografa newyorchese ebbe modo di vivere delle esperienze, appunto umane e artistiche, che difficilmente potrebbero essere “contenute” in una singola, normale esistenza.
Fino al 30 aprile, il Museo di Roma in Trastevere, la celebra con una mostra imperdibile, “Prima, donna”, raccolta di oltre 100 immagini provenienti dall’archivio “Life” di New York e divise in 11 sezioni tematiche.
Figlia di un inventore e naturalista, nella prima gioventù sembrava destinata a calcare le orme paterne, iscrivendosi alla facoltà di biologia, salvo poi scoprire in modo abbastanza repentino e soprattutto dirompente una bruciante passione per la fotografia, che la portò in un primo momento a dedicarsi agli scatti di ambienti industriali e poi, dopo il -per noi- provvidenziale incontro con il caporedattore di “Time”, Henry Luce, ad accettare una nuova collaborazione con la rivista illustrata “Fortune”.
Fu la svolta definitiva: da quel momento in poi, infatti, la Bourke-White cominciò ad assumere piena consapevolezza dei suoi mezzi non solo espressivi ma anche intellettuali, che la spinsero a riconsiderare in modo completamente diverso la sua professione e la “missione” ad essa connessa.
Così, fin dal fortunato libro You have seen their faces, risultato di un viaggio nel Sud degli Stati Uniti in compagnia del grande scrittore (nonché suo futuro marito) Erskine Caldwell, nel periodo della Depressione, il suo stile cambiò, facendosi sempre più personale e multi-sfaccettato e spingendola ad accettare una serie di scommesse che, in breve, la resero uno dei maestri riconosciuti dell’obiettivo. In particolar modo grazie agli impareggiabili reportage effettuati per conto di “Life”, l’ormai iconica rivista fotografica, che proprio con una sua foto in copertina cominciò le pubblicazioni nel lontano 1936.
Dal fronte di guerra italiano all’invasione dell’Urss da parte dei nazisti (unica fotografa straniera presente in suolo sovietico in quegli anni), dai terribili scatti del campo di concentramento di Buchenwald fino ai bombardamenti dei caccia americani contro l’esercito tedesco (anche in questo caso, prima donna ad accompagnarli in missione), la Bourke-White raccontò come nessuno gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, ridefinendo il foto-giornalismo moderno e dimostrando come una corretta e puntuale testimonianza dei fatti storici costituisca un potente strumento in mano alle forze del bene e della democrazia.
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Né, d’altra parte, possono essere tralasciati lo straordinario lavoro di documentazione sociale svolto in India o quello, anch’esso di una potenza visiva difficilmente eguagliabile, realizzato in Sud Africa, dove la Bourke-White dimostrò di saper catturare con “semplici” fotografie tutto l’orrore dell’apartheid e della segregazione razziale.
Nello splendido expo ospitato in Piazza Sant’Egidio 1/B, poi, non potevano certamente mancare alcuni immortali ritratti dell’artista americana, come quello di Stalin (primo non ufficiale dedicato al sanguinario dittatore russo) o quello che cattura il Mahatma Gandhi a poche ore dal suo assassinio; né alcuni scatti aerei o realizzati in sospensione da centinaia di metri di altezza (anche in questo caso, prima fotografa al mondo a cimentarsi nel genere) durante la realizzazione di grandi opere architettoniche o in particolari contesti industriali.
Insomma, per i conoscitori-cultori della Bourke-White finalmente una raccolta in grado di mettere insieme il meglio della sua produzione; per i neofiti, la possibilità di poter visitare una delle mostre più belle che siano transitate per Roma negli ultimi anni.
Non perdetela, per nessuna ragione al mondo!