La maledizione dei Green Day: nessun festival in Italia negli anni pari
Tutti abbiamo dei ricordi indelebili legati ai concerti dei nostri idoli. Le ore interminabili in fila, il dribbling selvaggio per arrivare in transenna, l’estasi e la pace dei sensi a fine spettacolo. C’è poi chi ha la sfortuna di avere anche terribili ricordi di concerti andati male, e se segui i Green Day sicuramente ti sarà capitato di non vederli almeno un paio di volte. Perché sono bravi tutti a vedere un concerto, ma per non vederlo, pur essendo lì, ci vuole una certa dose di fortuna e ormai è tradizione qui nel Bel Paese. Questa è la mia versione di dieci anni di tour, ma andiamo per gradi.
Inizia tutto dieci anni fa, il 4 luglio. L’edizione dell’Heineken Jammin’ Festival 2010 presenta la sua bill e l’Italia dai 10 ai 40 anni dà di matto per una scaletta che prometteva scintille: The Bastard Sons of Dioniso, Editors, Rise Against, Thirty Seconds to Mars e infine Green Day. Ero un’adolescente che per la prima volta avrebbe visto i suoi idoli ma, mentre impacchettavano Shannon Leto con tutta la batteria e le “due gocce di pioggia” (cit. Jared Leto) iniziavano ad inondare il Parco S. Giuliano, e già vedevo i miei sogni infrangersi – li ho sentiti fare lo stesso rumore degli amplificatori che esplodevano sul palco per via dell’acqua. Di quel giorno ho anche un bel ricordo, il coro da stadio levatosi dalle prime file quando ancora si sperava fosse una nube passeggera: “dacci lo shampoo, Billie Joe dacci lo shampoo!”.
Il bollettino di guerra riporta tutti i cellulari affogati, le banconote semi-liquefatte e il biglietto ormai irrimediabilmente tramutato in cartapesta. Ora, legge vuole che per richiedere un rimborso si debba consegnare il biglietto fisico e qui neanche Giovanni Mucciaccia avrebbe potuto aiutarci! Ma evidentemente dalla regia di Ticketone si sono fatti due conti e rimborso fu.
2012. Non demordiamo. I Green Day hanno nel frattempo operato scelte musicali particolari ma abbiamo un festival da recuperare. Il 2 settembre Bologna pagherà il debito di Mestre con l’Independent Days Festival! E invece no.
Perché eravamo lì, con una line up più che affrontabile, data la ricompensa. Social Distortion punto altissimo della giornata. Non mi pronuncio sugli Angels and Airwaves, ma almeno ho visto Tom Delonge e la bambinetta finta-punk che è in tutti noi fu abbastanza contenta. Mancavano solo i Kooks, un’oretta di indie che non fa mai male, e si parte. Ma Bilie Joe era già partito e noi non lo sapevamo.
I Kooks tardano ad entrare sul parco e risatine accompagnano una teoria incredibile tanto quanto il 5G al mercurio: “ti immagini annullano tutto?! Ahahahah”. E hanno annullato tutto davvero.
Tré Cool e Mike Dirnt avevano registrato un video messaggio per noi fan, che fino all’ultimo abbiamo pensato fosse uno scherzo, di cattivo gusto ma pur sempre uno scherzo. E invece ci siamo ritrovati ad uscire ordinatamente dall’Arena Parco Nord, non sapendo bene come gestire questo secondo due di picche. Stavolta però il rimborso del biglietto è stato più facile.
Il 2013 fu l’anno della rivincita totale. Si inizia con il Rock In Roma che, nonostante i ben noti disagi dovuti a location ed organizzazione, sa regalare non poche gioie. Non del tutto paghe, io e la mia fidata compagna di live e official photographer delle nostre scorribande, partiamo alla volta del Reading Festival, anticipato da una data a sorpresa alla O2 Academy Brixton. Sono tutt’ora i miei due concerti “della vita”, per ragioni opposte: lo show alla 02 Academy era per pochi intimi mentre il Reading, si sa, è uno dei festival più importanti d’Europa e prima dei Green Day ci siamo godute anche Frank Turner, Deftones, e System Of A Down. Nulla da aggiungere insomma.
Pausa di tre anni – tanto per scongiurare i numeri pari – e si arriva al 2017. Firenze e Bologna garantirono show eccezionali e un pubblico con un’energia mai vista prima. Comunque, la fortuna fu che gli show non erano parte di un festival, ma date singole del Revolution Radio Tour. A Firenze giurammo di non scegliere più le date invernali, la neve ci aveva convinto che i live a Dubai fossero sicuramente più agevoli. A Bologna, invece, una bottiglia di rosso ci difese bene dal vento gelido.
Quattro mesi dopo ritentiamo la fortuna. Altro giro, altro festival: stavolta gli I-Days a Monza. Potrebbe andar bene, continuiamo a ripeterci. La bill principale era da rimanerci secchi subito: Tre Allegri Ragazzi Morti, Rancid, Green Day.
Quindi dai, arriviamo senza indugi alle porte dell’autodromo più famoso d’Italia. Ma le porte stanno dall’altra parte del circuito, alla distanza massima dal palco. Due ore di camminata sotto il sole per fare altre ore di fila ai cancelli. I banchi dei token li glissiamo senza nemmeno pensarci, che il ritappo coatto delle bottigliette con tappi nascosti anche nei calzini funziona sempre. I token sono uno dei nuovi mali dei festival italiani, ma questa è un’altra storia.
Golden ring, quindi ci godiamo ogni concerto con la calma necessaria, raccogliendo tutte le energie per Rancid e Green Day. Il live dei Rancid non posso descriverlo, ancora non metabolizzo come si deve. Ricordo che abbiamo rischiato di esaurire subito tutte le forze e di romperci l’osso del collo svariate volte. Iniziano i Green Day e come sempre grande live, grandi emozioni e grandi avanzamenti verso la transenna. Nessuna traccia degli amici che avremo dovuto incontrare lì, ma sapevamo che al momento giusto sarebbero apparsi, come sempre. E infatti eccoli. Come le scorse date, ci siamo ritrovati senza cercarci e stavolta nel pogo durante American idiot; è stato bello essere un gruppo in quel delirio.
Per uscire ci vuole altro tempo, tanto, tantissimo, e l’uscita dell’autodromo sembra più lontana che mai, più lontana anche del viaggio di andata. Ma un festival è andato senza intoppi. Grazie a Dio è un anno dispari!
Sentivamo già la mancanza del live e il Firenze Rocks 2020 viene in nostro soccorso. Non so perché ma quest’anno non ero così pronta a buttarmi in un’altra impresa, come se sentissi che qualcosa non andava e certamente l’ultima impresa discografica della band non ha cambiato il mio atteggiamento. Father Of All Motherfuckers è senza dubbio il loro album più discusso: 26 minuti e 16 secondi che non sono andati a genio a moltissimi fan. Un troll bello e buono alla faccia della Reprise Records? Un divertissement un po’ fallimentare? Non si è ufficialmente parlato di quale sia lo spirito esatto di questi dieci brani, l’unica cosa ufficiale è il naso storto di molti di noi. De gustibus. Comunque alla vista del biglietto non mi sono esaltata come al solito, sentivo – o non sentivo – qualcosa, a pelle. Ma certo, era solo settembre, giugno è lontano, di tempo per gasarci ce n’è… e c’è stato anche il tempo per una pandemia. Concerto annullato, pace a tutti.
Come tutti gli eventi per il 2020, anche la data fiorentina è stata ovviamente posticipata. Non possiamo certo prendercela con i Green Day, ma questa storia dei festival in annate pari sta diventando un appuntamento tristemente regolare. Di certo stiamo migliorando, devo riconoscerlo. Annullare il concerto prima di arrivare sul luogo è una mossa geniale e molto diplomatica. Applausi.
Prendiamo tutto con la dovuta ironia; il grado di delusione lo stavamo già stemperando da inizio anno, quando immaginavamo la tripletta di concerti non visti. Non c’è due senza tre, si dice. In questo 2020 così breve e già così dannatamente intenso, è stato fatto il possibile per accontentare tutti, tra slittamenti di date e voucher – ma come i token, questi appartengono ad un’altra storia. Il Firenze Rocks è stato riconfermato con la stessa line up per l’anno prossimo e ragazzi, il 2021 è un anno dispari. Ci vediamo alle transenne!
Foto: Irene Petrucci