“La forma dell’acqua”: il pluripremiato capolavoro di del Toro in prima TV
Arriva finalmente sul piccolo schermo degli italiani uno dei più grandi successi cinematografici degli ultimi anni: RaiMovie (canale 24) presenta in prima serata la prima visione televisiva di “La forma dell’acqua” di Guilllermo del Toro.
Il pluripremiato capolavoro del regista messicano narra una storia d’amore ambientata negli Stati Uniti durante i primi anni della Guerra Fredda, al limite tra il fiabesco e la fantascienza, con un cast stellare su cui sono stati da subito cuciti i personaggi: Sally Hawkins, Michael Shannon, Doug Jones, Octavia Spencer, Richard Jenkins.
Baltimora, 1962, piena Guerra fredda. Elisa Esposito (Sally Hawkins) è una donna affetta da mutismo che lavora come addetta alle pulizie nel Centro di ricerca aerospaziale di Occam, un laboratorio governativo dove avvengono sperimentazioni a scopi militari. I suoi due unici amici sono la collega afroamericana Zelda (Octavia Spencer) e l’inquilino gay Giles (Richard Jenkins), coi quali condivide una vita di solitudine ed emarginazione. Un giorno al laboratorio viene portato un essere misterioso considerato un esperimento strategico e fondamentale per la ricerca: una creatura anfibia dall’aspetto umanoide catturata in un villaggio amazzonico, dove era oggetto di venerazione degli indigeni locali. Elisa rimane affascinata dalla creatura e la incontra di nascosto, portandole del cibo e insegnandole a comunicare tramite la lingua dei segni americana. Intrappolata in una vita fatta di silenzio e isolamento, la donna comincia una relazione fatta di gesti, gentilezze e sguardi con la strana creatura.
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Affascinato sin da bambino da “Il Mostro della Laguna Nera” di Jack Arnold, del Toro aveva già invano proposto un remake della pellicola dal punto di vista della creatura, intrecciando la storia con una protagonista femminile. D’altronde il regista non ha mai nascosto la sua passione per i mostri, per storie capaci di impaurire e incantare allo stesso tempo. Un fascino per creature sì mostruose, ma intrappolate in uno stato transitorio tra l’umano e l’indefinito. Uno stato in cui chiunque si sia sentito emarginato, potesse identificarsi.
Così, dopo oltre nove mesi necessari a definire solo l’aspetto fisico della creatura mostruosa, nel 2017 Guillermo del Toro vince ogni scommessa con una pellicola che guarda a classici immortali come “La Bella e la Bestia” e a B-Movie di culto come il succitato “Il Mostro della Laguna Nera”. Il regista fa innamorare la sua Elisa del mostro, di cui per prima si innamora lui stesso. Infatti mentre la creatura di Jack Arnold nuotava silenziosa al di sotto dell’eroina, quella di “La forma dell’acqua” ne abbraccia emersa il corpo. Perché quello di del Toro è soprattutto un film di emozioni e sentimenti, di amore tanto spirituale quanto carnale.
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Una favola adulta, intrisa di passione cinefila (basti notare come la protagonista muta viva sopra un cinematografo, un tempo muto anch’esso, o il sogno in bianco e nero in cui per la prima volta la sentiamo “parlare”) e in grado di lanciare un messaggio di tolleranza e di amore che risuona fortissimo nel nostro presente. Dice infatti lo stesso del Toro: “L’acqua prende la forma di tutto ciò che la contiene in quel momento e, anche se l’acqua può essere così delicata, resta anche la forza più potente e malleabile dell’universo. Vale anche per l’amore, non è vero? Non importa verso cosa lo rivolgiamo, l’amore resta sé stesso sia verso un uomo, una donna o una creatura.“
ALLERTA POSSIBILI SPOILER
L’acqua è ovviamente uno dei protagonisti del film: è l’elemento vitale del “mostro” ma anche quello in cui Elisa si trova a suo agio e ritrova se stessa e la sua sessualità, estraniandosi da un mondo al contempo rumoroso ed ovattato, dal trauma che l’ha resa muta (e che la vede comunque immersa nell’acqua, di nuovo). L’acqua è ciò che lei usa per pulire per terra, è nel bicchiere che Strickland (Michael Shannon) rovescia per chiamarla. È pioggia finta al cinema e pioggia vera nel finale.
Non solo. In un film dallo stile onirico, in una storia in cui il sole non sorge quasi mai e l’oscurità regna sovrana (rispecchiando il dolore intimo dei personaggi), tutto è intriso di acqua: la macchina da presa si muove fluttuando nell’aria come se fosse sempre sott’acqua, in un mondo interamente virato su qualunque tonalità di verde possibile, con qualche punta di azzurro. Definito come “il colore del futuro”, il verde è presente ovunque, ma va a rappresentare un “progresso cattivo, negativo” mentre il rosso diventa il colore del “passato buono”: si noti come Elisa si vesta sempre di verde ma come dopo il rapporto con la creatura inizi ad indossare accessori rossi, come le scarpe o il foulard tra i capelli.
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Questa dualità sottolinea l’aspetto favolistico del film di del Toro. “La forma dell’acqua” si presenta come una vera e propria favola: ha una voce narrante che apre e chiude il racconto, con un lieto fine alla “e vissero tutti felici e contenti” e il cattivo sconfitto. Inoltre i personaggi sono bidimensionali: completamente buoni o completamente cattivi. Non ci sono punti di vista diversi, un dilemma o una posizione da prendere. Non si può non essere d’accordo con la protagonista, così buona, indifesa e romantica che le vuoi bene per forza. Così come il cattivo non può suscitare un minimo di empatia nello spettatore, non ha ambiguità né tentennamenti.
L’aspetto favolistico non sminuisce però il potere di questo film, capace di farsi anche discorso politico (gli elementi ci sono tutti, dal razzismo all’omosessualità, dall’emarginazione sociale all’etica nel progresso scientifico) senza mai diventare per questo pedante o retorico. Un film che permette allo spettatore di ritrovare lo stupore infantile e la voglia di credere nell’amore che vince su tutto.
Non a caso “La forma dell’acqua”, presentato durante la 74° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha ottenuto 13 candidature e vinto 4 Premi Oscar. Inoltre il film ha ottenuto il Leone d’oro, 2 Golden Globes, 3 BAFTA, 4 Critics Choice Award, un CDG Awards, un Producers Guild e un AFI Awards.