La dimensione ultraterrena de La Cura: la sfida di Battiato al suo universo onirico
La morte di un artista è una naturale, se pur triste, occasione per ricordarlo analizzando alcuni dei suoi lavori. Spesso, le opere più famose vengono condivise, creando prima dipendenza e poi assuefazione. La ricondivisione delle opere di Battiato ha un retrogusto diverso. Battiato è stato un artista collocato in una dimensione extraterrena. La maggior parte delle sue opere sono compose da mille sovrastrati di metafore e allegorie che riconducono a una dimensione spirituale che i più di noi provano a cogliere o, al massimo, fingono di riuscirci. La realtà, però, è un’altra: spesso non ci abbiamo capito nulla.
La prima volta che si ascolta “La Cura”, ad esempio, si ha l’impressione di essere avvolti in un abbraccio caldo e totalizzante. A una prima impressione, il pezzo di Franco Battiato non é altro che un inno ad un amore incondizionato totalmente puro e disinteressato, quasi materno: “ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai”.
Le parole fluiscono, trascinate da una voce carismatica. Le ambientazioni descritte si palesano davanti agli occhi: si crea un susseguirsi di immagini che ritraggono qualcosa di assolutamente sicuro e protettivo. Finché non ci si trova a “vagare sui campi del Tennessee, come ci ero arrivato non so”: a quel punto, ci si perde nelle immagini. Si immaginano campi sperduti, fiori bianchi, sogni che volano sul mare.
La canzone prosegue con eterne promesse, troppo grandi per essere fatte da un essere umano: “supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. Ti salverò da ogni malinconia – perché sei un essere speciale, e io avrò cura di te”.
La dimensione umana ne “La Cura” é limitante: non esiste essere umano in grado di guarire da tutte le malattie, di salvare da ogni malinconia. La canzone viene portata a un livello terreno più o meno a metà, quando si menzionano i campi del Tennessee, e Battiato fa intendere di stare scavando in qualche memoria concreta. A parte questo, il pezzo é un puzzle. Ci sono diverse teorie intorno a “La Cura”: la piú comprensibile é che questa sia una canzone d’amore.
“Dovremmo imparare tutti dalla vita di Franco Battiato”, il ricordo di Davide Ferrario
La più filosofica, invece, è che la canzone parli all’uomo stesso: Battiato, partendo da un certo background spirituale influenzato dalle filosofie orientali, si rivolge una preghiera, augurandosi di prendersi sempre cura della propria persona. Infondo, in genere l’uomo é l’”essere speciale” preferito da se stesso. Partendo da questo ragionamento, il concetto si potrebbe estendere all’umanità intera: “La Cura” potrebbe essere una preghiera dell’uomo rivolta all’uomo. Considerando le tendenze autodistruttive dei terrestri negli ultimi decenni, questa interpretazione potrebbe avere un senso.
C’è però una terza interpretazione che in questi giorni acquista un senso ancora più profondo. “La Cura” è una preghiera rivolta a un essere spirituale: lo stesso essere spirituale che rende le canzoni di Battiato incomprensibili ai più, quello a cui si è ispirato per tutta la vita. Forse un qualche tipo di Dio, o la Natura, o l’universo, o la Morte. Un essere che, alla fine di tutto, ha la capacità di guarire da tutte le malattie, mentre insegna il silenzio e la pazienza percorrendo le vie che portano all’essenza.
“Non posso dire di non aver paura della morte”, dice Battiato, “sto lavorando per essere degno di questo passaggio. Non bisogna avere debolezze nei propri confronti perché la debolezza della materia gioca brutti scherzi. Gli esseri umani non muoiono. Ci si trasforma”:
Forse il protagonista de “La Cura”, che sia egli stesso, un qualche tipo di Dio, la Natura o un amore profondo per qualcuno, ha aiutato Battiato in questa trasformazione.
Viaggio dentro “l’Universo Battiato” sfogliando la biografia di Aldo Nove