La coppia Rezza – Mastrella torna al cinema con “Samp”: l’intervista
In occasione della presentazione del loro ultimo film “Samp”, uscito il 27 novembre e in tour nei cinema delle principali città italiane tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, abbiamo raggiunto Antonio Rezza e Flavia Mastrella, che da oggi fino al 15 dicembre saranno in cartellone al cinema Farnese alle ore 21:30.
Ecco che cosa ci hanno raccontato a proposito della loro ultima, al solito assai irriverente fatica.
Vent’anni di gestazione: c’è stato un momento in cui avete pensato che Samp non avrebbe mai visto la luce? E, in questo lungo arco di tempo, quanto è cambiato rispetto a quello che avevate in mente all’inizio?
(AR) Il film è diventato esattamente quello che volevamo, anche se sono trascorsi 20 anni. Una gestazione così lunga è stata dovuta al nostro dissenso ideologico nei confronti di un certo sistema-Italia a livello di cinema indipendente. Noi siamo contrari al finanziamento delle opere e ci sentiamo dei veri indipendenti, diversi da molti che si professano tali e poi non lo sono in alcun modo. In questo lungo lasso di tempo, le variazioni sono state minime, si può parlare di soli aggiustamenti. Tutto era già pronto.
(FM) Gli abbiamo impedito di vedere la luce prima perché in certi contesti non c’è spazio per la vera libertà di espressione e questo a noi non stava bene. Samp, comunque, essendo un’opera che disgrega il concetto di sceneggiatura tradizionale, può essere ritenuto il frutto narrativo ottenuto in sola sede di montaggio. Nel corso degli anni è cresciuto, poi si è fermato e infine ha ripreso a determinarsi fino alla sua recente uscita.
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La vostra anti-convenzionalità espressiva sostanzia questa pellicola dall’inizio alla fine. Potete raccontarci come avete sviluppato una forma cinematografica così particolare e qual è la vostra posizione rispetto alla specificità di un linguaggio eminentemente filmico?
(AR) Noi nasciamo con il teatro, è vero, ma abbiamo vinto tanti festival di cinema indipendente nel corso del tempo, perlomeno fino a quando la parola “indipendente” ha avuto un senso. La nostra poetica è sempre la stessa e si fonda su un assunto ben preciso: abbandonare quello che è stato già fatto. Dal nostro punto di vista, lo stile non si cerca, si trova. Deve essere tutto profondamente naturale. Per le immagini in sedici noni che si vedono, ad esempio, abbiamo utilizzato il trucco dello scotch sull’obiettivo per il semplice fatto che all’epoca questo formato non esisteva ma noi lo volevamo, volevamo l’immagine rettangolare.
(FM) Noi abbiamo iniziato facendo diversi corti e ci consideriamo, in qualche modo, figli dell’immagine, del digitale. Io, come artista, mi sono particolarmente interessata alla videoarte negli anni Novanta dello scorso secolo, quando quella scena era particolarmente viva e differenziata. Per me è molto importante riuscire a dare delle intenzioni formali sempre diverse alle performance di Antonio. Per quanto riguarda il discorso dell’innovazione, mi preme anche dire che molte volte nascono dalla difficoltà di lavorare il colore sul digitale rispetto alla lavorazione su pellicola. La difficoltà aguzza l’ingegno e la capacità di vedere in modo diverso e personale.
Una domanda per Antonio: il passaggio dai tempi del teatro a quelli del film come si affronta? Ci spieghi, se ci sono, quali sono le differenze nella tua prassi attoriale?
Nel teatro la fatica è più…sovraumana, perché il teatro è crudele, sei sempre lì quando succede. Non ne sei soltanto interprete, ma anche testimone. Un film, invece, una volta terminato è finito, ti ritrovi costretto nel fotogramma e non è una cosa che può più succedere, in qualche modo.
Una domanda per Flavia: per il palcoscenico crei ogni volta delle scenografie (perdona il termine improprio) estremamente originali. Come lavori e come cambia il tuo lavoro, invece, quando si tratta di allestire un set cinematografico? Quanto e come cambiano le cose?
Io sono un’artista figurativa che crea habitat, a teatro, non scenografie. E questi habitat si sostanziano di pura forma e lasciano sempre spazio interpretativo all’inconscio e alle osservazioni differenti. Nel cinema, mi occupo più che altro di girare, visto che costumi e ambienti li scegliamo insieme con Antonio. Cerco di usare quanto più possibile quello che potremmo definire un linguaggio dell’aberrazione prospettica che ci aiuta ad ottenere la giusta profondità di campo nonostante il digitale.
Siete fiduciosi sul fatto che un lavoro come Samp possa avere, di questi tempi, una distribuzione come si deve nelle sale? Vi siete spesso schierati contro un certo tipo di “tradizione” in questo senso. Quali sono le soluzioni che immaginate, che proponete?
(AR) La soluzione è che tutti i falsi progressisti che si vedono in giro decidano finalmente di difendere le menti aperte, sono loro i veri nemici da combattere per la diffusione di certe opere. Noi non siamo snob, accetteremmo senza problemi una distribuzione importante, ma a patto che ci lasci sempre essere indipendenti e padroni e questo non è facile da ottenere. Ci fosse in ogni città un cinema come il Beltrade a Milano o un distributore come Maria Letizia Gatti non ci sarebbero mai problemi.
(FM) Le sale fanno tutte una grossa fatica ad andare avanti in questo periodo, forse per questo si sono aperte di più anche agli indipendenti e mostrano una maggiore sensibilità. Di certo ha pesato in modo non indifferente anche l’avvento di Netflix in questa “virata”. Il grande problema però è la pochezza degli spazi lasciati liberi dal cinema e dalla distribuzione americani, soprattutto a chi la pensa diversamente. Il futuro? Dipenderà dai lottatori ideologici che verranno dopo di noi e che noi stiamo anticipando.
Chi è il protagonista che dà il titolo al film e quale società l’ha in qualche modo prodotto? Quali equilibri vuole spezzare e quali, magari, ricostruire?
(AR) Samp è nello stesso tempo un avanguardista e un esempio di maschilismo. La contraddizione è la sua cifra esistenziale assoluta e nella sua ricerca della felicità, dell’amore, non può fare a meno di deragliare. C’è però da dire che è anche molto umano, questo deve essere rilevato, altrimenti si rischia di fraintenderlo, di non capirlo (e, comunque, la vera dimensione dell’essere umano è la fine dell’essere…).
(FM) Samp è l’uomo di adesso, del quale si ignora dove sia cresciuto. È quello che c’è di male da raccontare, direi, è il prodotto di una società semi-arcaica. Noi, attraverso di lui, abbiamo cercato di raccontare il tracollo di un pensiero, ma, ci tengo a dirlo, non riusciamo a quantizzare fino in fondo la realtà attuale (anche perché la tecnologia ci impone una freddezza innaturale).
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Ultima domanda: il 2022 è alle porte, che novità dobbiamo aspettarci su tutti i fronti da voi?
(AR) Stiamo preparando un nuovo spettacolo, il cui titolo provvisorio è “Forte”, ma non è facile perché il comune di Nettuno, poco dopo la nostra vittoria del Leone d’Oro a Venezia, ha deciso di cacciarci dallo spazio storico in cui abbiamo sempre lavorato e dove sono nati molti dei nostri spettacoli. Adesso stiamo provando al Vascello, speriamo di riuscire a terminarlo e a cominciare a portarlo in giro per giugno o luglio.
Dovrebbe poi uscire per Betty Wrong un mio disco realizzato con la bocca e percussioni corporee (non dimentichiamoci mai che la nostra ricerca, fin dall’inizio, è una ricerca musicale oltre che teatrale, se uno ci pensa bene).
Infine, un film su Cristo sul quale sto lavorando da tempo.
(FM) Oltre a quello di cui ti ha parlato già Antonio, dovrebbe uscire un film sulla Costituzione che ho girato durante il lockdown e che mi ha molto aiutato a superare un periodo reso ancor più difficile per una persona come me, che è sempre stata abituata al contatto, dalla mancanza di confronto. La gestazione è stata molto lunga e sta ovviamente affrontando varie difficoltà per essere accettato ai festival. Fondamentalmente, si tratta di una videolettura, ripresa con il cellulare, di 150 autori che leggono gli articoli della Costituzione. Con un particolare dettaglio: a recitarli sono animali con la voce dei loro padroni, quindi ci sono gatti, cani, pesci, galline.
È un lavoro di incastri eccezionale.