Jurassic World: il dominio. La recensione (con spoiler)
“L’epica conclusione della saga giurassica” è tra gli slogan che hanno accompagnato la promozione di Jurassic World: il dominio, terzo e ultimo capitolo della saga firmata da Colin Trevorrow che, nel 2015, ha dato vita a una nuova trilogia ispirata al Jurassic Park di Steven Spielberg.
Ma corre l’obbligo di una precisazione. Affermare che il film fresco d’uscita in sala metta il punto definitivo sulla saga “avviata da Spielberg” non è propriamente corretto: il regista americano, anche autore di capolavori senza tempo come E.T. Indiana Jones, Lo Squalo, Schindler’s List, all’alba degli anni Novanta non pensò a una trilogia ma a una singola pellicola ispirata all’omonimo libro di Michael Crichton.
Sulla scia del successo commerciale e di pubblico dell’opera del 1993 si convinse a realizzare un secondo film, anche per tributare lo scrittore (scomparso, poi, nel 2008) e il suo “The Lost World“, seguito del libro campione d’incassi. Scartò tassativamente l’ipotesi di prendere parte al terzo capitolo, probabilmente il più debole dei sei recanti la dicitura “Jurassic”.
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La trilogia non è mai esistita, quindi, per lo meno nelle intenzioni di Spielberg. E allora, chi conclude cosa? E’ stata idealizzata, concepita, supposta in quanto tale esclusivamente in quelle dei produttori che in essa hanno trovato una miniera d’oro dalla quale estrarre continuamente dei valori. La saga di Jurassic World è una nuova fase, pensata e realizzata nell’ottica, stavolta si, di una trilogia. Come tale è stata strutturata e come tale ha trovato la sua conclusione ne “Il dominio”, uscito nelle sale cinematografiche italiane ieri, giovedì 2 giugno 2022.
Lo abbiamo detto e ripetuto in questi ultimi sette, otto anni: il grande deve tanto, tantissimo a ciò che Spielberg creò negli anni Novanta. Le citazioni e i tributi snocciolati nell’arco dei tre film sono pressoché infiniti. Il che, da un punto di vista emozionale, è chiaramente un valore aggiunto, non fosse altro per le suggestioni evocate, ma guardando al tutto con un po’ di malizia in più verrebbe da pensare a una sana dose di “ruffianagine” per non inimicarsi il nutrito pubblico di fedelissimi fan della prima ora e creare un ponte con la nuova fan-base. Business is business.
La premessa è fondamentale per arrivare al giorno d’oggi e parlare di “Jurassic World: il dominio”.
– CONTIENE SPOILER –
“Volevo far vedere qualcosa che non fosse un’illusione, qualcosa di reale, che si vedesse e si toccasse“, disse John Hammond nel lontano 1993, aggiungendo “la creazione è un atto di assoluta volontà“.
Questa frase, questo concetto, ricorrono come un refrain nei tre capitoli della saga di Jurassic World, incluso l’ultimo, “Il dominio”. I dinosauri geneticamente modificati, chiamati anche ibridi, sono un punto cardine su cui la narrazione della trilogia fa leva senza mai discostarsi dalla formula “creazione umana + imprevedibilità + danni + tentativo di salvare il mondo“.
Una ricetta voluta e consolidata, ma anche ridondante e prevedibile.
In Jurassic World: il dominio non vi è alcuna intenzione di lasciare da parte questa base di partenza. Per alcuni è l’essenzialità della trama, per altri è l’usato garantito. Anzi, nel prosieguo del secondo film (diretto da J.A. Bayona), Owen Grady (Chris Pratt), Claire Deaning (Bryce Dallas Howard) e la civiltà umana si trovano a vivere a stretto contatto con i dinosauri che, nel frattempo, sono migrati in tutto il mondo. Una convivenza complessa, praticamente impossibile, ma che va salvaguardata.
Oltre agli pterodattili che nidificano sui grattacieli di New York e agli anchilosauri che se ne vanno in giro per i boschi, assistiamo ad allevamenti illegali di dinosauri, mercato nero e scommesse clandestine con gli stessi, tentativi più o meno leciti di gestirli e, in ultimo, anche i bracconieri che scombinano quel poco di equilibrio venutosi a creare.
Ancora una volta vi è uno spazio verde nascosto agli occhi della collettività dove vengono fatto esperimenti biologici e dove si tenta un controllo sulla specie. Ancora una volta vi sono il capitalismo e le lobby a farla da padrone. Ancora una volta “vi siete lasciati abbagliare dalle potenzialità di questo parco ma non ne avete avuto mai il controllo”. Ancora una volta vi è la denuncia sui danni ambientali e l’impatto straordinario sull’ecosistema già fragile di suo. Ancora una volta vi è “l’uomo che gioca a fare Dio“, sempre per citare il Jurassic Park di Spielberg.
Non è cambiato praticamente niente.
Per l’occasione Trevorrow ha richiamato anche i tre grandi protagonisti della pellicola del 1993: Jeff Goldblum (Ian Malcolm), Laura Dern (Ellie Satler) e Sam Neil (Alan Grant). Ora, di fronte al cast riunito, anche i più cinici commuoverebbero. Non potrebbe essere altrimenti, l’emozione è tanta. I tre restano fedeli ai personaggi, e non serve un copione, seppur non particolarmente brillante, a farcelo comprendere. Sguardi, espressioni e presenza fisica sono immutati nel tempo e i tre vestono i panni dei loro personaggi con la stessa convinzione di come fecero quasi trent’anni fa.
Le denunce, ora come allora, sono sempre le stesse: “Umani e dinosauri non possono coesistere, abbiamo creato un disastro ecologico“, afferma la dottoressa Satler, cui fa eco il caosologo e matematico Malcolm “stiamo andando verso l’estinzione della nostra specie, non solo abbiamo perso il dominio sulla natura, ma siamo sottomessi a lei“.
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Jurassic World: il dominio è un film dal ritmo elevatissimo, ultra dinamico e col piede sempre premuto sull’acceleratore. Si passa da New York alla Sierra Nevada, dallo Utah a Malta dove, a parere di chi scrive, vi è la più bella sequenza d’azione del film (a tratti sembra di essere di fronte a un film di James Bond). Una pellicola che è tutto un inseguimento e una fuga, una corsa e una rincorsa per salvare se stessi, i dinosauri e una figlia la cui genitorialità è dubbia (spoileriamo, si, ma non diciamo proprio tutto, insomma). E poi ci sono le locuste, gli allevamenti intensivi, le industrie a dettare le leggi dell’economia e delle abitudini alimentari.
Un blockbuster che farà felici le sale cinematografiche ma, forse, non tutto il pubblico.
Il rischio della citazione è che alla lunga stufi e che finisca per mutare pelle e trasformarsi in una minestra riscaldata. E in questo caso non siamo molto lontani dal pensarla così. Bello il ritorno del cast, bello che si vedano nuovi dinosauri (i quali, però, non hanno chissà quale peso all’interno delle dinamiche del film), bella la loro migrazione nei vari continenti, bello un crossover tra vecchio e nuovo cast, ma poi?
Ma poi siamo sempre qui a parlare di finali praticamente tutti uguali e di una prevedibilità disarmante. Si capisce come si concluderà il tutto con largo anticipo e non perché la noia prevalga sul coinvolgimento, ma perché si delinea tutto in maniera veramente scontata. Anche agli spoiler c’è un limite, per cui non saremo così cattivi da essere minuziosamente precisi e dettagliati, ma le analogie tra questo e due capitoli precedenti sono esagerate.
Allora la domanda è lecita: dove finiscono le idee e inizia il tributo?
“Jurassic World: il dominio” è oggettivamente un bel film in cui l’originalità, però è praticamente inesistente, dove l’evoluzione della storyline è banale e scontata e dove non vi è alcuna volontà nel sorprendere lo spettatore con colpi di scena. Tutto va come deve andare, senza intoppi. Questo non può essere un punto di forza per un franchising che mirava a darsi un tono e una propria identità. Il sogno di John Hammond si è avverato nel 2015 con l’apertura di Jurassic World, ma le teorie di Grant, Satler e, soprattutto Malcolm, hanno avuto ragione su tutto il resto. E quindi il fil rouge è ben delineato.
Trevorrow si muove su terreni fertili e sicuri, non azzarda, non va oltre, non si spinge mai a dare una personalità alla pellicola. Troppi, anche se piacevoli ed emozionanti, i riferimenti al capolavoro di Spielberg, che poi rappresentano anche i momenti di maggiore hype del contesto. Un action-movie che buca lo schermo, questo sì, ma più per la potenza visiva che non per la trama e per la sceneggiatura, interessante e nulla più. In mezzo ci mettiamo la presenza di molti animatronics e di una CGI a tratti claudicante.
Ma la domanda resta: è davvero la conclusione di tutto?