Junk food e alienazione nel nuovo spettacolo della Carrozzeria Orfeo: parla Gabriele Di Luca
Arriva finalmente anche a Roma, l’ultimo, attesissimo spettacolo della Carrozzeria Orfeo, Miracoli Metropolitani, in cartellone al Teatro Vascello dall’11 al 23 gennaio.
Ne abbiamo parlato con il drammaturgo e regista Gabriele Di Luca.
Dopo Cous Cous Klan, con Miracoli Metropolitani torni ad indagare una realtà apparentemente distopica. Da dove è nata stavolta l’idea, anzi, l’esigenza?
Mentre in Cous Cous Klan si parlava di una distopia pura, in questo nuovo lavoro il mio interesse si è focalizzato su qualcosa di molto più evidente, molto più contemporaneo. I problemi di cui si parla sono tutti di un’attualità sconcertante (l’ossessione della società occidentale per il cibo, il sovrabbondare della spazzatura, i cattivi rapporti con i social network, la solitudine delle persone, lo scaricare le colpe dei problemi del mondo su una singola fascia della popolazione- in questo caso i neri) e volevo far vedere come la risposta della politica sia inadeguata e si fomenti a ogni pie’ sospinto la strumentalizzazione delle cose. Attraverso Miracoli Metropolitani, vorrei far capire che il mondo in cui viviamo non è un “parco giochi” creato per i nostri egoismi e che un giorno si ribellerà, perché dovrà reagire di fronte a questo stato di cose. Non siamo invincibili come abbiamo imparato a credere.
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Anche in quest’opera i personaggi sembrano essere dei “reduci della vita” e, nonostante si rida, non si ha mai la sensazione di avere davanti dei bozzetti. Davvero non esiste salvezza per il genere umano? Qual è il messaggio che vorresti più di tutti far passare?
Che ogni atto di perdono e di speranza è insito nelle piccole cose, nelle piccole azioni individuali. Se si ha questa consapevolezza, si ha una consapevolezza della vera bellezza e una via di vera fuga da certo marciume interiore che ci attanaglia. In questo senso, è molto importante anche la risata, perché se nel nostro piccolo, nella nostra estrema finitezza impariamo a ridere dell’infinito pachidermico che ci circonda, abbiamo già fatto qualcosa per riuscire a salvarci.
Nonostante i vostri siano lavori eminentemente “teatrali”, si nota una costante influenza del linguaggio e di certa prassi cinematografica. L’idea è quella di creare un codice spettacolare privo di gabbie o si tratta di una semplice coincidenza?
No, è assolutamente un tratto peculiare della mia poetica autoriale quello di introdurre elementi linguistici differenti e, oltre a quello cinematografico, mi influenzano tantissimo le serie, il loro modo di concepire gli stacchi narrativi e figurativi, il loro vocabolario. Rientrano assolutamente nel mio gusto. Io mi ispiro in libertà a tutto ciò che mi piace e questo è evidente nei nostri spettacoli penso a qualsiasi livello. Oggi come oggi, il teatro ha bisogno di “rientrare in sé” anche attraverso codici linguistici differenti da quelli che si presumono standard. Solo così può risultare più credibile e più vicino alla gente, agli spettatori.
Uno degli elementi fondamentali di riflessione che viene sottolineato, e che hai già anticipato, è il rapporto malato che sembra legare la nostra società al cibo. In che modo hai trattato questo aspetto e per evidenziare di preciso cosa?
Era mia premura raccontare la tendenza alla sovralimentazione che caratterizza la società occidentale, che non si manifesta soltanto negli sprechi ma anche nella rincorsa parossistica al cibo più raffinato, più particolare. Non è soltanto una questione legata al fatto che ci sono miliardi di persone che muoiono di fame, quanto l’amara constatazione che il desiderio costante del “manicaretto” dia spesso origine anche a delle truffe sulle materie prime (come accade nel “Luxury Food” dove si svolge Miracoli Metropolitani) o a delle inaccettabili manie di grandeur come ci capita spesso di vedere nelle cucine di certi reality. Pensiamo poi anche a tutto quello che è stato letteralmente edificato intorno alla questione delle intolleranze alimentari: ci sono e ci continuano ad essere degli atteggiamenti disgustosi, delle strumentalizzazioni vergognose (un po’ come accade per il Covid). Insomma, trovavo giusto evidenziare tutta una serie di atteggiamenti che oggi come oggi costituiscono dei veri problemi sociali e non certo da prendere sottogamba.
Nelle vostre messe in scena, nonostante l’incontenibile verve attoriale, c’è sempre una cura estrema della scenografia e delle luci. Qual è il metodo di lavoro che adottate tu e Lucio Diana per metterle appunto e quanto solitamente impiegate?
Avendo avuto un budget a disposizione, questo Miracoli Metropolitani è stato realizzato con un’attenzione maniacale. Con Diana c’è stato un forte dialogo durante le prove, prima di mettere a punto tutto (la scenografia è stata costruita insieme ad Andrea Zenoni, il nostro direttore di scena) negli ultimi cinque o sei giorni. Per noi della Carrozzeria, la valenza della scenografia e delle luci è molto significativa, ha un valore diegetico assoluto. Ogni codice per noi è un personaggio.
Nel testo, si coglie anche un focus molto pronunciato sul rapporto tra l’uomo e il web. In che modo la rete determina il nostro comportamento e quali sono, secondo te, le trappole nelle quali ci fa cadere?
Il nostro rapporto malato con i social credo che sia spinto troppo oltre ormai per poter cambiare, la deriva è inesorabile. Molti di noi passano delle ore a spiare le vite degli altri e a vedere quanti followers hanno, senza magari riuscire a realizzare che le loro vite non sono davvero migliori delle nostre. Ormai l’alterazione della percezione del reale è completa. Dobbiamo prendere coscienza, come insegnano i corsi e i ricorsi storici, che ci sarà bisogno di un vero e proprio “crack” sociale affinché le cose tornino ad essere, se non “normali”, quantomeno sostenibili.
Una caratteristica spiccata dei vostri lavori è il ritmo serrato, inarrestabile dei vostri tempi sul palcoscenico. Come si sviluppa un meccanismo teatrale così perfetto?
Ci vogliono innanzitutto bravissimi attori, come quelli che costituiscono il cast di Miracoli Metropolitani, di cui non smetterò mai di essere orgoglioso. Ci vuole tecnica, concentrazione e molto lavoro di prove. Nulla deve essere lasciato al caso, solo così poi si può trasmettere vera naturalezza. Il ritmo fa parte della mia poetica da sempre, per me il pubblico deve “rincorrere” lo spettacolo e avere solo qualche momento di pausa per provare degli spaccati di grande emotività. Ma per arrivarci, e per goderseli appieno, lo spettacolo deve correre. C’è poi un altro fattore molto importante: in questo testo, in cui, come si è detto, c’è una sovrabbondanza di temi, la frenesia è un aspetto molto importante. Per questo un ritmo serrato è fondamentale.
A fine 2021, avete annunciato sui vostri canali social il debutto di un vostro nuovo spettacolo per l’estate di quest’anno, un monologo di stand up comedy interpretato da Beatrice Schiros. Un esperimento o una possibilità espressiva per il futuro?
Entrambi. Con Stupida Show, Capitolo I. Cattivi pensieri volevamo omaggiare le caratteristiche e le capacità di Beatrice, che sicuramente saprà incantare il pubblico in questa nuova avventura. E poi vogliamo avere in repertorio uno spettacolo che possa riportarci senza problemi di allestimento in spazi più piccoli, quelli dai quali abbiamo poi cominciato. Vogliamo avere la possibilità di fare un lavoro più agile, più minimale, buono anche per contesti senza particolari caratteristiche teatrali. Il fatto che ci sia poi nel titolo Capitolo I, sta a significare che non escludo, non escludiamo in futuro nuove sortite in questo ambito.
Concludendo: in questo clima di profonda incertezza che stiamo vivendo, come ci si sente ogni sera ad andare in scena sapendo dei rischi che si corrono (voi e gli spettatori)?
Come compagnia, stiamo vivendo un momento nello stesso tempo molto importante e molto difficile. Da una parte, riscontriamo il grande successo che stiamo riscuotendo nonostante la situazione, dall’altra facciamo i conti, come tutti, con gli imprevisti del Covid: nelle ultime repliche, per esempio, abbiamo dovuto sostituire un membro del cast risultato positivo e che tornerà in scena a Roma. Diciamo che c’è molta tensione, da parte nostra e da parte del pubblico. Ecco perché non giudicheremo mai tutti i nostri sostenitori che, impauriti dallo stato attuale delle cose, non vorranno venire a vederci. L’appuntamento con loro è solo rimandato.
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