Jethro Tull, la storia della leggendaria band in un volume inedito. L’intervista all’autore, Giuseppe Scaravilli
L’incredibile storia dei Jethro Tull in un volume inedito. La storia del gruppo e del flauto ginnico Ian Anderson leader della band di Blackpool, in un libro di Giuseppe Scaravilli, saggista e musicista siciliano e leader dei Malibran, band progressive rock. Il volume dal titolo Jethro Tull. La leggenda del flauto nel rock , uscito lo scorso 2 settembre ed edito da Officina di Hank, ripercorre la carriera di uno dei gruppi più longevi al mondo, nonché autori di autentiche gemme acustiche.
Ian Anderson, acrobata del rock. Celebre è il tocco circense di Ian Anderson che suona e canta con una gamba sola il flauto traverso come un maestro teatrante del calibro di Peter Gabriel, ex solita dei Genesis. Artista multiforme e sui generis, nella sua lunga carriera da solita e con i Jethro Tull, tocca temi politici, religiosi, esistenzialisti e morali.
Il primo incontro con Aqualung non si scorda. Soprattutto se avviene con il vinile originale, quando curiosità e inventiva sono all’apice. Famoso è il clochard in copertina, un disco incentrato su coloro che vivono relegati e confinati ai margini della società: uno degli album più belli, strani e perturbanti della storia del rock. Ai microfoni di The walk of the fame, l’autore si racconta e ci mostra l’esegesi dell’opera.
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Giuseppe parlaci del libro e dei suoi punti forza…
Il libro racconta la storia del gruppo da quando si chiamava John Evan Band nel 1966 fino ai giorni nostri. Il tutto narrato dal punto di vista dello storico, del musicista e del saggista. Oltre che del fan che possiede tutto il loro materiale, avendoli anche visti dal vivo numerose volte dal 1988 al 2022. Parlo molto della loro attività live, ma anche dei dischi, dei cambi di formazione, delle scalette e del look con il quale Ian Anderson e compagni entravano in scena attraverso gli anni.
Anche delle apparizioni televisive e dei concerti ripresi da telecamere professionali, pubblicati ufficialmente o meno. Persino i filmati o le registrazioni audio di qualche fan possono rivelarsi utili come documento per periodi meno noti. Il tutto utilizzando la forma espositiva che mi viene riconosciuta come scorrevole e avvincente, facendo sentire il lettore parte della storia.
Senza tralasciare poi i rapporti umani tra i componenti della band e il carattere non facile del leader. Il quale non si fece scrupoli nel mettere alla porta il bassista Glenn Cornick alla fine del 1970, nonostante avesse condiviso con lui un gelido attico quando erano ancora poveri e sconosciuti, fino a raggiungere il successo internazionale. E nel 2011 avrebbe fatto lo stesso con Martin Barre, fedele chitarrista del gruppo per 43 anni.
E dire che Anderson aveva rilasciato dichiarazioni secondo le quali senza la chitarra di Martin non si sarebbe più riconosciuto il sound dei Jethro Tull!. Un punto di forza risulta essere il sommario, che rende conto di tutta la discografia, videografia, raccolte e dei concerti del gruppo in Italia negli anni Settanta. Ho scoperto che erano in tanti ad aspettare tutto questo ben descritto in italiano.
Leggendo la prefazione, ad ogni capitolo parli di ogni disco della band, dall’esordio con ‘This Was’ fino ad a ‘The Zealot Gene’ uscito lo scorso gennaio. Hai da raccontare qualche aneddoto che noi fan non sappiamo?
Gli aneddoti presenti nel libro sono innumerevoli. Basti pensare a quando la band fu messa sotto custodia dalla polizia durante il primo tour negli USA. Era il 1969 e presero una macchina a noleggio. Furono fermati e agli agenti apparvero come quattro capelloni con a bordo una bottiglia di whisky non sigillata e semi che sembravano di marijuana. Invece la bottiglia era stata lasciata lì da chi li aveva preceduti, e i semi erano quelli di sesamo caduti da un panino! E dire che Ian Anderson, nonostante l’aspetto che aveva all’epoca, odiava le droghe e il mondo hippy che lo circondava. In seguito accadde anche questo fatto bizzarro: il dittatore Noriega si era rifugiato in un’ambasciata, e i soldati americani per farlo uscire lo bombardarono con la musica di ‘Too Old To Rock’n’Roll’ dei Jethro Tull sparata a tutto volume. Fin quando Noriega uscì a mani in alto. Lo stesso Anderson ne rise molto.
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Ian Anderson si mostra come una figura eccentrica: capelli lunghissimi, cappotto a mo’ di palandrana e stivali vecchi e logori con i quali, a grandi falcate, percorre il palcoscenico. Quali i concerti, asso della manica, che ha reso il gruppo famoso?
Ce ne sono alcuni in particolare sui quali mi dilungo molto nel libro dal momento che abbiamo la fortuna di averli su Dvd. Innanzitutto la loro partecipazione al festival dell’Isola di Wight nel 1970. Suonarono il quinto e ultimo giorno, prima di Jimi Hendrix, e fecero faville. Poi il concerto trasmesso in diretta transoceanica dal Madison Square Garden di New York nel 1978, che permise ai Jethro Tull di essere visti da milioni di persone. Descrivo anche altri spettacoli che potevano essere definiti di routine, ma che sono giunti fino a noi ripresi da telecamere professionali. Così la partecipazione al festival di Tanglewood nel 1970 e, per quanto riguarda il 1977, i concerti all’Hippodrome del 10 febbraio e a Landover il 21 novembre.
Senza dimenticare i festival del 1968 ad Hyde Park e a Sanbury, che li fecero passare da band per club a realtà importanti per l’Inghilterra. Mi soffermo anche sulla data del 9 gennaio 1969 a Stoccolma come gruppo spalla di Hendrix. Era la loro prima volta all’estero con Martin Barre ed esistono buone registrazioni audio più due pezzi in video. Spettacoli più recenti sui quali mi soffermo sono quelli del 2000 a San Paolo del Brasile, del 2001 all’Hammersmith Apollo di Londra e del 2004 a Montreux. Altri show li descrivo in quanto ero presente.
Al centro del volume si trova un inserto di 48 foto relative proprio ai concerti e alle apparizioni televisive che analizzo nel volume. Molti di questi scatti possono ritenersi inediti in quanto creati da me con appositi fermo immagine da Dvd. Ogni foto è accompagnato da una dettagliata didascalia. Mi sono sentito definire “il massimo esperto italiano dei Jethro Tull”, ma non credo di esserlo. Anche io apprendo di continuo cose nuove e conosco altrettanto bene i Genesis e i Led Zeppelin.
Ma i Tull sono il mio gruppo del cuore, e per questo a loro avevo già dedicato un altro libro, “The Golden Years”, che si limitava però ai primi dieci anni di carriera. Tendo piuttosto a raggiungere una forma stilistica elegante e allo stesso tempo coinvolgente, che faccia venire voglia di ascoltare di nuovo questo o quel disco, magari nella versione degli ottimi remix di Steven Wilson. Quando mi comunicano che accade proprio questo, e che il nuovo libro è stato “letto tutto d’un fiato”, così come i miei volumi precedenti oppure i post che pubblico su Facebook, allora posso dire di ritenermi soddisfatto. Non potrei chiedere di meglio.
Di Sara Rotondi