“L’invenzione della felicità”: a Roma la mostra di Jacques Herni Lartigue
C’è voluto tanto tempo, troppo rispetto alla bravura già dimostrata nel corso della sua lunga carriera, ma alla fine il talento con la macchina fotografica di Jacques Henry Lartigue è stato riconosciuto in tutta la sua multiforme grandezza.
Fin dalla prima esposizione al MoMa del 1963, quando l’artista aveva quasi 70 anni, fino alla morte sopraggiunta nel 1986, si cominciò infatti a parlare del francese come di un maestro assoluto dell’obiettivo, degno di essere annoverato tra i più grandi del Novecento, procurandogli tantissime richieste di collaborazione da parte dei giornali di moda e del mondo del cinema, che si innamorarono della sua capacità di catturare con naturalezza la joy de vivre dei soggetti e delle situazioni ritratti.
Fino al 9 gennaio, a Palazzo Wegil a Roma (Largo Ascianghi 5), diventa dunque imperdibile “L’invenzione della felicità”, la più ampia retrospettiva che gli sia mai stata dedicata nel nostro Paese.
La mostra (promossa dalla Regione Lazio e realizzata da LazioCrea in collaborazione con Casa Tre Oci di Venezia e Donation Jacques Henry Lartigue di Parigi), raccoglie 120 immagini, di cui ben 55 inedite. Non solo, anche una serie di riviste e pubblicazioni dell’epoca, e abbraccia in modo esaustivo la sua variegata produzione, articolandola in diverse sezioni che vanno dai precoci esordi di inizio secolo scorso.
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Quando Lartigue, vero enfant prodige dell’obiettivo, divenne un appassionato cantore degli ultimi anni della Belle Époque parigina fino alle tarde, già accennate, esperienze come fotografo di scena per numerosi film.
Osservando gli scatti, al di là delle varie specificità estetiche di ogni singolo periodo creativo in cui vennero concepiti, stupisce la coerenza con la quale l’artista di Courbevoie perseverò nel corso dei vari decenni a preservare nei suoi lavori la purezza di un proprio, personale microcosmo fotografico, fissando su pellicola soltanto ciò che voleva ricordare e conservare e sfuggendo quindi in modo sistematico non soltanto dagli orrori prodotti dai conflitti mondiali, ma anche e soprattutto al processo di deterioramento con il quale il tempo è in grado di sciupare ogni cosa.
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Questa sua peculiarità lo rende un formidabile “cantore della vita”, sempre in grado, attraverso la sua opera, di catturarne i momenti felici e farli rivivere all’osservatore, sfruttando magari qualche dettaglio curioso e non abbandonando mai una spiccata chiave ironica, che non si limita a far sorridere ma regala anche attimi, impagabili, di leggerezza e serenità.