‘Io Capitano’ è il film italiano designato per la corsa all’Oscar
‘Io Capitano’ di Matteo Garrone è il film che l’Italia ha designato per la corsa all’Oscar per il miglior pellicola internazionale. L’opera che ha vinto alla Mostra di Venezia il Leone d’argento per la regia ha avuto la meglio su altri 11 film indicati per la selezione su cui si è riunita oggi la commissione.
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Per la shortlist bisognerà attendere il 21 dicembre. Le nomination verranno annunciate il 23 gennaio 2024. La cerimonia degli Oscar si terrà a Los Angeles il 10 marzo 2024.
Scritto da Garrone (qui anche produttore) insieme a Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri, il film (una coproduzione internazionale Italia Belgio) racconta il viaggio avventuroso di due giovani, Seydou e Moussa (Seydou Sarr e Moustapha Fall), che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. “Per realizzare il film c’è stato un grande lavoro di documentazione durato tanti anni. Siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dal loro punto di vista, come se fosse una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale”, ha spiegato Garrone in conferenza. “Il nostro tentativo è stato quello di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha”, ha aggiunto il regista.
Per questo film – accompagnato dalla colonna sonora di Andrea Farri (edita da Sony Music Publishing) – è stato scelto il Senegal come punto di partenza: “Ci sono tanti tipi di migrazioni, molte sono quelle legate alla guerra, ai cambiamenti climatici e a tante altre disperazioni. Quella che raccontiamo noi – ha proseguito Garrone – è una migrazione diversa: il 70% della popolazione africana è giovane, la globalizzazione è arrivata anche lì e attraverso i social questi ragazzi hanno una finestra sull’Europa. C’è il desiderio legittimo ad accedere ad un futuro che credono migliore, così come noi da giovani pensavamo di partire per andare alla scoperta dell’America. Noi potevamo prendere l’aereo, loro devono affrontare prove mortali: è questa l’ingiustizia di fondo. Vedono coetanei – ha spiegato ancora Garrone – che arrivano in vacanza in Senegal e loro non possono invece andare in Europa. A volte si parla meno di questo aspetto, ma è un tipo di migrazione che esiste, quella dei giovani che vogliono scoprire il mondo e magari avere più possibilità per aiutare la propria famiglia”.
L’inizio di ‘Io Capitano’ ricorda ‘Pinocchio’ di Collodi. Garrone, infatti, prima di realizzare la sua versione di Pinocchio voleva raccontare la storia “di un Pinocchio migrante. Collodi cercava di mettere in guardia i piccoli dalla violenza del mondo circostante. Questo è il viaggio di un ragazzo che insegue il paese dei Balocchi tradendo la madre, partendo di nascosto, come Pinocchio fa con Geppetto e attraverso questo viaggio si scontra con la violenza del mondo che incontra”, ha detto il regista.
‘Io Capitano’ è “la fusione del mio sguardo, il loro vissuto e le loro testimonianze. Credo che l’arte da sempre sia fatta di contaminazioni. Come credo che sia importante raccontare i riflessi di una globalizzazione arrivata anche in Africa. Questi due ragazzi – ha detto ancora Garrone – partono da una povertà che è comunque dignitosa ma cercano fortuna altrove, in quella specie di Paese dei Balocchi che loro credono sia l’Europa. A spingerli è anche la sete di conoscere il mondo. L’ingiustizia di fondo è quella che per compiere questo viaggio devono passare le pene dell’inferno. Ed è un’ingiustizia legata ad un tema complesso, difficile da risolvere. Noi abbiamo cercato di scrivere il film seguendo i canoni del racconto d’avventura, sperando che l’opera finita sia accessibile per i giovani che magari, chissà, vedranno anche nelle scuole, e finiranno per sensibilizzarsi nei confronti di certe tematiche”.
Tra le storie vere a cui si è ispirato Garrone c’è quella di Kouassi Pli Adama Mamadou, arrivato in Italia 15 anni fa, attivista del Centro sociale ex Canapificio e del Movimento migranti e rifugiati di Caserta. “Queste sono storie che non vengono raccontate spesso. Storie che raccontano la voglia di noi giovani di cercare altre possibilità, io l’ho fatto 15 anni fa attraversando il deserto dell’Africa subsahariana, sono passato per la Libia, ho visto persone vendute, imprigionate e torturate. Il film di Matteo è una storia vera che ho ho vissuto in prima persona. Ringrazio lo Stato italiano se oggi posso essere qui, vestito così. Questo film aiuta anche a riflettere sulla possibilità di permettere alle persone di viaggiare liberamente e raggiungere l’Europa non in questo modo, perché solo così si può debellare il traffico di vite umane”.
Fonte: Dire.it