L’intervista: Pamela Luidelli e le nuove frontiere del libro giallo.
Spesso si pensa ai generi mistery, giallo o noir identificandoli ad una serietà poco gratificante. Il giallo, in generale, viene considerato da molti démodé, lapalissiano, dalla trama noiosa. Della serie: è sempre il maggiordomo. Al fine di spezzare le catene dello stereotipo, The Walk of Fame magazine ha incontrato Pamela Luidelli. Un’autrice dalla penna ironica che ha la capacità di raccontare storie di cadaveri e misteri con una leggerezza intelligente e per nulla scontata.
Come nasce e da cosa prende ispirazione la Pamela Luidelli scrittrice?
Questa è una bellissima domanda a cui spesso faccio fatica a rispondere. Dico sempre che ci sono mille gradini prima di definirsi scrittrice e io sono solo al primo. Nasco prima come lettrice. Cinque anni fa, scherzando con mio marito che mi vedeva sempre leggere, mi consigliò di scrivere un romanzo considerando la mole di libri letti e la fantasia che mi contraddistingue ancora oggi. Ed eccomi qui con quattro libri pubblicati.
Gestisci un blog e un canale Youtube in cui racconti le tue passioni per i viaggi, per i castelli. C’è però una passione che mi ha incuriosito molto: quella per i fantasmi. È vero che cerchi spesso di intervistarli?
Sì, assolutamente sì. Purtroppo ancora non ci sono riuscita però non demordo (ride).
Ogni artista ha un elemento ispiratore. Qual è il tuo? Se puoi svelarlo?
Mio marito. Semplicemente lui.
Entriamo ora nel vivo delle tue opere. Il tuo ultimo romanzo “Pennellate di bugie” è un insieme di emozioni che si intrecciano e creano un minestrone dal sapore misterioso. Ti andrebbe di parlarne?
Certamente. Devo dire che “Pennellate di bugie” è il mio quarto libro pubblicato ma è proprio il primo romanzo che ho scritto. Mi sono lasciata trasportare dalla fantasia, immaginando la me più anziana. Ho voluto mettere per iscritto le problematiche che ci sono tra le generazioni, la nonna, la mamma, la figlia. Ognuno ha un modo di fare differente e, si sa, in ogni famiglia si nasconde sempre qualcosa. Anche se non dovrebbero esserci scheletri in famiglia ma spesso e volentieri ci sono.
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Quindi c’è una vera e propria visione femminile delle generazioni?
Sì, credo che questo libro sia più indirizzato, forse, al mondo femminile. Anche se c’è un lato maschile in quanto descrivo uomini diversi fra loro.
Possiamo dire che il mistero è un elemento distintivo nelle tue opere. Senti di appartenere ad un genere ben preciso?
In me ci sono due entità: il dottor Jekyll e mister Hyde e farle andare d’accordo è molto faticoso. I primi due romanzi pubblicati, “Un caffè per la vittima” e “Un caffè per l’assassino”, sono due cozy mistery. Mi sono identificata benissimo in quel personaggio di barista un poco scapestrata che si ritrova sempre nei guai e, ahimè, inciampa sempre in un cadavere. Tratto argomenti reali come la violenza sulle donne, il bullismo per l’uomo e molti altri, sempre con un certo sorriso. Mi sento a mio agio con questo stile perché una parte di me è ironia di per sé. Ciò nonostante, non ho intenzione di fossilizzarmi in quello. Mi piace molto sperimentare. A volte può andare bene e a volte no, quindi non so in futuro cosa arriverà.
Proprio in merito al futuro, hai dei progetti in cantiere?
Sì, tantissimi. Innanzitutto sto terminando un romanzo noir. Sto lavorando, invece, alla terza saga di “Un caffè”. Saranno contenti i lettori dato che me lo chiedono sempre. In più, ci sono altri progetti che, per ora e per scaramanzia, non rivelerò. Continuerò con il mio blog dopo una breve pausa.
Ne saranno molti felici i tuoi lettori…
(Ride) spero proprio di sì.
Ora ti dirò un titolo: “Diretto all’inferno”. Una trama molto intrigante…
“Diretto all’inferno” è stato una sfida per me stessa. Mi sono spinta oltre per comprendere ciò che non riuscivo a comprendere. È un giallo completamente italiano, ambientato sul Lago Maggiore, e tratta di pugilato. Qui, devo sottolineare l’onore che ho avuto nel conoscere il campione di pugilato italiano Adriano Sperandio che saluto. Grazie a lui ho capito molte cose su questa disciplina. È facile affermare: “il pugilato è violenza”; in realtà è una nobile arte. “Diretto all’inferno” è quello che mi ha dato più emozioni.
Possiamo dire che sia il tuo libro del cuore?
Sì, scriverlo non è stato semplice. Nonostante ci sia molta finzione, essendo un romanzo, ho dovuto studiare, leggendo almeno una trentina di libri, contattare quotidianamente il campione italiano, guardare tutti i film sul pugilato. C’è un lavoro grande dietro.
Concluderei questa bellissima intervista con una domanda più personale: come definiresti la tua penna in tre aggettivi?
Allora: imprevedibile, fantasiosa e ironica. Nonostante tutto c’è sempre una parte di me in ogni libro.