La musica si ferma ancora: “Il nostro settore non è riconosciuto professionalmente”
Tra i settori colpiti dalla pandemia di Covid-19, quello musicale è stato certamente uno di quelli che ha sofferto di più. Concerti annullati e tour fermi da mesi, ma anche case discografiche che faticano ad andare avanti. Soprattutto oggi che il virus è tornato dopo quasi due mesi di stallo, e minaccia un nuovo lockdown, dove non c’è già lo stato di zona rossa.
Andrea Di Rocco, musicista e proprietario dell’ ADR’s Studio, studio di registrazione e produzione discografica ad Avezzano, ha vissuto e continua a vivere i tanti stop a cui la pandemia ha costretto il settore.
Con riguardo alla categoria, cosa rappresenta questo stop e perché?
Per la nostra categoria questo stop è un dramma. In Italia purtroppo, a differenza della gran parte dei paesi del mondo, il nostro settore non viene riconosciuto a livello professionale. Lo Stato dimostra di non conoscere minimamente il funzionamento del mondo della musica e dello spettacolo, lasciandolo da solo in questo periodo d’emergenza senza leggi o tutele dedicate a tutti i suoi sotto-settori. Tanti colleghi sono rimasti senza lavoro e senza aiuti già durante il primo lockdown. Più volte abbiamo chiesto di essere accolti dallo stato per aprire un tavolo di dialogo, per far capire le reali condizioni del nostro settore, ma ci è sempre stata sbattuta la porta in faccia. Ora, con un secondo lockdown, la situazione va a peggiorare gravemente anche per chi è riuscito a sopravvivere con la propria impresa durante il primo.
Dopo il primo lockdown, e quindi con le varie riaperture, com’è stata la risposta dei consumatori?
Più che positiva. La voglia di suonare era tantissima anche se le possibilità di esibirsi dal vivo erano veramente poche. Mai come in quel periodo si poteva leggere negli occhi di ogni musicista la gioia di ritrovarsi in sala prove per esprimere la propria arte. C’è stata un’unione totale di gruppo per aiutarci a vicenda. Un discorso differente va fatto per il settore delle produzioni musicali, dove il fantasma di un possibile secondo lockdown ha fatto sì che la richiesta di produzione di materiale discografico scendesse ai minimi storici. Solamente chi aveva un contratto professionale con etichette Major è riuscito a produrre album.
Come si affronta questo periodo senza la musica negli studi di registrazione?
Mai in dieci anni di attività mi è capitato di vivere un momento simile. Personalmente mi fa male al cuore non sentire suonare nel mio studio, non incontrare i miei clienti/amici di una vita, parlare di musica, aiutarli nella composizione e nella costruzione dei vari set up. Ho addirittura nostalgia di rimproverare i musicisti più giovani ed indisciplinati, che puntualmente si sfogavano sulla mia batteria distruggendola. Ora ho trasferito gran parte della mia strumentazione dentro casa perché ho completato tutti i lavori che mi erano stati commissionati. Ma soprattutto mi fa male all’anima lavorare nello studio con un atmosfera così carica di incertezza per il futuro, in quel silenzio surreale.
Quali proposte per il futuro?
Vi posso dire in anteprima che sto lavorando alla creazione di un nuovo servizio online, per permettere ad ogni musicista in lockdown di fare musica con i suoi colleghi in tutto il mondo dalla propria abitazione. Ho raccolto molti consensi. Tutto per un unico scopo: sensibilizzare al nostro mondo e permettere alla musica di lottare. Sto lavorando anche sulla progettazione di eventi futuri che potrebbero riguardare la nostra terra quando sarà tutto finito. La mia volontà è quella di recuperare al meglio il tempo che ci è stato tolto con un unico obiettivo: quello di vivere, finito il Covid, l’anno con più musica che la nostra generazione abbia mai vissuto. Come diceva Nietzsche: “Senza musica la vita sarebbe un errore”.