Intervista. Giampiero Mancini porta in scena un femminicidio tra brividi e risate
Nel corso di una quattro giorni di eventi organizzati dall’Amministrazione Comunale di Avezzano e dei comuni marsicani, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il Teatro dei Marsi fa il pienone con “Natura morta in un fosso”, lo spettacolo diretto ed adattato da Giampiero Mancini a partire da un testo di Fausto Paravidino.
“Mi rendo conto che è il primo giorno di quella che sarà una lunga lotta per non impazzire.”
Sono infatti i primi giorni – o meglio le prime trentasei ore – dopo la scoperta del cadavere di una giovane ventenne quelli raccontati in “Natura morta in un fosso”. Il ritrovamento del corpo nudo in un fossato, l’identificazione della vittima, la corsa contro il tempo entro l’edizione serale del telegiornale di un commissario (Giampiero Mancini) e della sua squadra per risolvere uno di quei casi di omicidio che non vorresti mai dover affrontare.
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Uno di quei casi che si sentono sempre più spesso al telegiornale tanto da farci quasi l’abitudine. Tanto quotidiano da costruirci intorno serie, film e spettacoli teatrali. Ma questa volta sul palco vedi il corpo nudo di Elisa (Chiara Di Marcantonio) letteralmente portato via nei sacchi-morte e senti l’urlo straziante di sua madre Emanuela (Emanuela Di Nicola). Ed è allora che ti rendi conto di star assistendo ad una rappresentazione diversa dalle altre, che ti farà tornare a casa sentendo ancora un brivido lungo la schiena ed un senso di nausea.
(continua sotto la foto, ndr)
Perché l’adattamento teatrale di Mancini non porta in scena solo le indagini del suo Commissario Mancini (Giampiero Mancini), del (tipico) secondino impacciato dall’inconfondibile accento napoletano Scognamiglio (Giovanni Scognamiglio) e del vicecommissario Di Paolo (Giuseppe Celeste) fedelissimo alle regole e al suo ideale poliziesco. Al loro fianco, soprattutto a quello del commissario, l’anatomopatologa Giulia Cristofolini (Giulia Pellicciaro) che fa il suo ingresso su tacchi vertiginosi, cinica e distaccata, ma che tradisce il suo codice chiamando per nome la vittima.
Mancini non porta sul palco solo un giallo ma dedica anche spazio a storie tanto diverse quanto comuni: quelle del pusher informatore che fa quasi tenerezza Veleno (Alessandro Oliva), della prostituta (Alessandra Romolo) magistrale nel raccontare la sua storia di inganni e sogni infranti simulando un rapporto sessuale e con un più che verosimile accento russo e quella del pugile GiPo (Stefano Marinelli), pugile fidanzato di Elisa, che nel lungo monologo dell’interrogatorio potrebbe addirittura muovere a compassione il pubblico.
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La scenografia è composta solo da un lenzuolo bianco ma ricamato che con luci colorate diventa una sorta di mosaico o mandala. Gli oggetti sono tutti simulati, fatta eccezione per un freddo tavolo operatorio che diventa una tavola colma di silenzi e per delle sedie che diventano una macchina (quasi a mo’ di Subaru baracca). Un involucro nudo e vuoto riempito da una storia incredibilmente vera.
Perché questa storia non è solo un pugno nello stomaco. Lo stomaco te lo prende a calci fino ad ammazzarlo di botte. Così come è successo ad Elisa.
Eppure in una storia di violenza, in cui “c’è chi nasce per vivere e chi nasce solo per morire”, c’è spazio anche per risate di cuore, che nascono non solo dalla tipizzazione di alcuni caratteri ma soprattutto dalle situazioni, dagli scambi fra i protagonisti. Perché in una realtà talmente difficile, bastano un panino inopportuno o un’eccessiva dimostrazione d’affetto per strappare un sorriso. Un umorismo che però entra pian piano, in modo quasi delicato e al contempo brusco, senza mai esser di troppo.
In uno spettacolo in cui i volti sono molto spesso in penombra quasi a diventare deformati e lontani, a diventare maschere, Giampiero Mancini padroneggia la scena con un personaggio a cui è impossibile non affezionarsi. Per quanto in realtà gli spettatori non sappiano quasi nulla di questo commissario così tanto uomo. Un uomo cinico ed empatico, tenero e schietto… e tutte le coppie di ossimori che possano venirvi in mente. Di questo commissario vestito completamente in nero, quel che si fa strada nella testa del pubblico è la voce. La voce di Mancini è profonda e decisa. È dubitante e rassegnata. È arrabbiata e disperata. Ti entra dentro e non va via facilmente perché diventa la voce dei tuoi pensieri.
L’INTERVISTA A GIAMPIERO MANCINI
Guarda l’intervista esclusiva a Giampiero Mancini al seguente link: