Imputati nei musei, addetti ai lavori sul piede di guerra
Gli imputati nei musei fanno discutere. L’accordo tra il ministro della Cultura Dario Franceschini e il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha sollevato un polverone.
Un polverone che divide due fronti. Favorevoli e contrari. Soprattutto tra i professionisti del settore e aspiranti lavoratori nel settore.
Per alcuni, infatti, è inaccettabile l’idea che imputati (seppur con pene non superiori ai 4 anni) e in futuro magari anche i detenuti possano svolgere lavori di pubblica utilità all’interno di musei, archivi e biblioteche, come espiazione della pena.
Questo perché toglierebbero lavoro a professionisti del settore, come archeologi, laureati e specializzati negli indirizzi universitari legati ai beni culturali. Tra i più attivi in questo senso c’è l’associazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”. Nata nel 2015 come collettivo legato all’organizzazione studentesca Link-Coordinamento Universitario, è ad oggi uno dei maggiori interlocutori ministeriali del settore legato alla cultura.
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Tramite il loro sito e le pagine social (su Facebook hanno un seguito che sfiora i 45 mila followers) sostengono che “nella situazione attuale, con carenza di personale sistemica e difficoltà a garantire i servizi minimi, ha senso impiegare centinaia di detenuti proprio in archivi, biblioteche e musei statali? La risposta che ci diamo è no, a queste condizioni appare l’ennesimo tentativo di tappare buchi di organico spacciandolo per uno scopo sociale: poco formativo per il detenuto, poco utile per quei luoghi. Finendo per alimentare, ancora, una guerra tra poveri di cui non sentivamo il bisogno”.
Una presa di posizione forte e chiara, volta a sottolineare anche la carenza di concorsi e l’immobilismo riguardo le assunzioni nel settore culturale.
Alessandro Garrisi, presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi, fa invece notare come nella convenzione tra Ministero della Giustizia e Ministero della Cultura “i soggetti ammessi allo svolgimento dei lavori di pubblica utilità presteranno, presso le sedi del MIC, le attività di seguito delineate […]: d. prestazioni di lavoro per la fruibilità e la tutela del patrimonio culturale e archivistico, inclusa la custodia di biblioteche, musei, gallerie o pinacoteche.
e. prestazioni di lavoro nella manutenzione e fruizione di immobili e servizi pubblici, inclusi ospedali e case di cura, o di beni del demanio e del patrimonio pubblico, compresi giardini, ville e parchi, con esclusione di immobili utilizzati dalle Forze armate o dalle Forze di polizia.
f. prestazioni di lavoro inerenti a specifiche competenze o professionalità del soggetto”.
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Lo stesso presidente dell’Ana, tramite un post su Facebook, specifica che “chi studia archeologia per lavorare ad esempio in un museo, non voglia fare né il custode, né il manutentore (Dottò, corra che s’è fulminata la lampada all’ingresso!). Poi magari quello che studia archeologia, o storia dell’arte, per riparare le porte ai musei ci sarà pure: ma ritengo sia l’eccezione, non la regola”.
Entrambe lo posizioni hanno ricevuto sostegno e critiche da più parti. Il dibattito è infatti molto ampio e sembra in rampa di lancio per essere al centro della discussione politica e sociale delle prossime settimane. Si lega infatti alla penuria di personale nelle soprintendenze, calato del 10% rispetto a 5 anni fa secondo i dati Istat.
Lo stesso Garrisi, in un’intervista a “L’Espresso”, sottolinea come “Oggi tutta la responsabilità operativa ricade sulle spalle dei funzionari perché mancano quelle figure tecniche che sono state per anni l’ossatura operativa del ministero. E così, se dei professionisti hanno la necessità di accedere ai magazzini, devo andarci io di persona perché non ci sono gli addetti ai servizi di vigilanza”.
Posizioni scoperte, dunque, ce ne sono. Ma, come sta accadendo per la Biblioteca Nazionale di Napoli, invece di assumere si riduce l’orario di apertura. Risposte concrete, dal Governo, ad oggi ancora non pervengono.
Basta pensare che il Pnrr, nel bando per la Soprintendenza Speciale, prevede solo cinque archeologi laureati in Beni culturali o con indirizzo archeologico. Contro trenta professionisti come architetti, ingegneri o avvocati.
Ma questa carenza di proposte fa crescere lo scetticismo verso l’accordo tra i due ministeri riguardo gli imputati che a titolo gratuito andranno ad occupare posizioni vacanti, non destinate a professionisti, all’interno di musei, biblioteche e archivi.
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