Il suicidio di Alighiero Noschese: l’urlo silenzioso dell’uomo dalle 96 voci
Era il 3 dicembre 1979 quando Alighiero Noschese, uno dei più grandi imitatori e attori della televisione italiana, si tolse la vita lasciando un vuoto enorme nel mondo dello spettacolo.
Ancora oggi, dopo più di quarant’anni, la sua morte prematura è una ferita che non si è mai davvero rimarginata: Noschese era un talento straordinario, una delle figure più brillanti della tv degli anni ’60 e ’70, capace di trasformarsi in chiunque, di entrare nei panni dei personaggi più diversi con una maestria che lo rendeva unico.
Il suo nome è indissolubilmente legato all’arte dell’imitazione, e la sua carriera ne ha segnato un’epoca: un imitatore stupefacente, non solo nella voce e nel modo di parlare, ma anche nel trucco del viso, nella postura, nei movimenti della faccia e del corpo.
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Nato a Roma nel 1932, dopo aver tentato senza grande successo la via del giornalismo, Noschese si fece conoscere come imitatore e parodista in radio, ma è attraverso la televisione che ha raggiunto la sua notorietà. Nel corso degli anni, è infatti diventato uno dei volti più amati dal pubblico italiano, noto per la sua incredibile capacità di imitare politici, attori, cantanti, e personaggi della cultura popolare dell’epoca. La sua maestria nell’imitare non si limitava alla riproduzione delle voci, ma riusciva a entrare nel cuore dei personaggi, a coglierne non solo i tratti vocali ma anche le sfumature più sottili. Noschese non imitava semplicemente, ma “interpretava” gli altri, dando vita a un gioco di maschere che incantava e divertiva, ma che a volte celava anche una profonda riflessione sulla società.
Dal giornalista Mario Pastore al moderatore di tribuna politica Ugo Zatterin, passando per una Mariolina Cannuli ostentatamente ammiccante e molti altri, tra cui si ricordano ancora Ugo La Malfa, Giovanni Leone, Amintore Fanfani, Ruggero Orlando, la regina Elisabetta e Marco Pannella: Alghiero Noschese era l’uomo dalle cento voci (anzi novantasei, come lui stesso amava precisare).
La sua carriera tocco l’apice nei programmi televisivi degli anni ’70, in particolare con “Teatro 10“, di cui divenne protagonista assoluto grazie alla sua versatilità. Ogni settimana, Noschese riusciva a far ridere e a fare riflettere con le sue performance, trasformandosi in una moltitudine di figure pubbliche, dall’attore famoso al politico influente.
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Tra le sue apparizioni televisive ricordiamo: “Doppia coppia“, “Canzonissima“, “Formula due” insieme a Loretta Goggi, “Ma che sera” con Raffaella Carrà, Paolo Panelli e Bice Valori. Restano nella memoria del pubblico italiano anche due spettacoli teatrali di rivista di Garinei e Giovannini (“Scanzonatissimo” e “La voce dei padroni“) e divertenti film dei primi anni Settanta, come “Io non scappo… fuggo!”, “Il furto è l’anima del commercio?!…“, “Io non vedo, tu non parli, lui non sente” e “Il prode Anselmo e il suo scudiero” (1973), tutti in coppia con l’emergente Enrico Montesano.
Secondo i suoi molti fan, le sue imitazioni non erano mai banali: riusciva a cogliere l’essenza di ciascun personaggio, rendendo la parodia una vera e propria satira sociale. In un periodo in cui la televisione era ancora un medium giovane e in continua evoluzione, Noschese rappresentava una figura che univa la comicità all’intelligenza, l’intrattenimento alla riflessione.
Il talento di Noschese per l’imitazione lo ha reso una figura senza pari nella storia della televisione italiana, ricordato calorosamente ancora oggi come un vero e proprio artista della trasformazione: un esperto nel leggere le dinamiche sociali e politiche con disinvoltura, rendendo le proprie imitazioni veicolo di critica, di ironia, e talvolta di denuncia. Noschese riusciva a parlare con il pubblico senza mai risultare banale, cogliendo i dettagli di ogni personaggio e restituendoli con una precisione quasi chirurgica.
Tuttavia, come fin troppo spesso accade, il successo di Noschese nascondeva un lato oscuro, che con il passare degli anni divenne sempre più evidente: dietro la maschera da imitatore e mattatore, Alighiero era una persona fragile, segnata da crisi di solitudine e esaurimento nervoso. Se da un lato la sua carriera, pur brillante, era segnata dal peso di un impegno costante, dalla necessità di essere sempre “sul pezzo”, sempre pronto a sorprendere il pubblico, dall’altro Noschese era soggiogato da un’incapacità di conciliare la sua persona pubblica con quella privata. Alighiero non si faceva vedere facilmente fuori dal suo lavoro: la sua riservatezza e il suo spirito introverso erano in netto contrasto con il personaggio pubblico che interpretava.
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Il lavoro di imitazione, dell’entrare nel corpo e nella mente di altri – che dunque richiedeva un continuo sforzo psicologico e fisico – lo ha lentamente consumato. La sua ricerca della perfezione, la paura di non essere mai all’altezza delle aspettative, il continuo isolamento dovuto alla sua natura introversa, lo portarono a un esaurimento nervoso, mentre stava preparando lo spettacolo “L’inferno può attendere“. Il 3 dicembre 1979, a soli 47 anni, si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola alla tempia nella cappella della clinica dove era ricoverato, Villa Stuart a Roma.
Il suicidio di Noschese ha scosso profondamente il mondo dello spettacolo. E, come spesso accade in questi casi, ha dato adito a molte ipotesi e congetture: da chi si chiede come mai un paziente potesse girare tranquillamente con un’arma da fuoco, soprattutto nei giorni del ricovero di Andreotti nella medesima struttura, a chi immagina il coinvolgimento dei servizi segreti, passando per ipotesi di terrorismo, malattie terminali non dichiarate, confessioni estorte con imitazioni al telefono, fino ad un coinvolgimento della massoneria (cui Noschese era regolarmente iscritto).
A distanza di quarantacinque anni resta il ricordo di un uomo e di un artista suicida nel pieno del successo. La sua morte è diventata un tragico monito sulle difficoltà che anche le persone più celebrate possono incontrare nella loro vita privata. Un caso, come troppi altri, che fa riflettere sulla dualità dell’artista, che può nascondere dentro di sé un enorme dolore, nonostante il sorriso che mostra al pubblico.
Oggi Alighiero Noschese rimane una delle figure più amate e rispettate della televisione italiana: la sua abilità nell’imitazione, la sua capacità di entrare nei panni degli altri e la sua intelligenza nel raccontare la società del suo tempo sono diventate parte della storia del nostro intrattenimento. Ma, allo stesso tempo, la sua tragica fine ci invita ad aprire gli occhi sulle dinamiche dello star system: un ambiente che può portare allo sfinimento un essere umano, compatirlo, ma senza preoccuparsi di abbandonarlo, per poi ipocritamente piangerlo nel momento di tragiche (evitabili?) morti. Un fenomeno cui la società odierna si sta inaccettabilmente abituando.
(Fonte foto: screenshot da Youtube)