Il Signore degli Anelli del 1978, l’ambizioso progetto che ispirò Peter Jackson
Una versione animata dell’opera di J.R.R. Tolkien da pochi conosciuta, ma che ebbe un ruolo fondamentale per la trasposizione cinematografica dei primi anni 2000. Dopotutto Peter Jackson non ha mai fatto mistero di essersi ispirato al film di Ralph Bakshi, definendolo un: “tentativo coraggioso e ambizioso”. Senza il film del 1978 probabilmente Il Signore degli Anelli di Jackson non sarebbe come tutti lo conosciamo e soprattutto quello di Bakshi rimane uno dei film d’animazione più coraggiosi e innovativi della storia del cinema, il quale meriterebbe di essere (ri)scoperto un po’ da tutti, anche da chi ha conosciuto solo i kolossal del regista neozelandese.
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Un progetto che ebbe inizio nel 1969, quando la United Artist acquistò i diritti del romanzo per soli 104.000 dollari. La casa di produzione americana pensò subito di farne un adattamento cinematografico, cercando invano di ingaggiare, fra gli altri, il regista Stanley Kubrick. Successivamente fu scelto il regista britannico John Boorman il quale però scrisse una sceneggiatura che si discostava troppo dal romanzo: inserì delle scene non presenti nell’opera originale, modificò delle parti e alcuni personaggi furono completamente stravolti, come Dama Galadriel trattata come un oggetto sessuale.
Boorman fu licenziato in tronco e alcune delle sue idee su Il Signore Degli Anelli furono utilizzate per il suo successivo film Excalibur
E qui che entrò in scena Ralph Bakshi, che prese in mano il progetto nel 1975. Insieme a Saul Zaentz, il produttore di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, realizzeranno un film ambizioso e sicuramente innovativo per quegli anni, che lo stesso Bakshi definì: “il primo esempio di pittura realistica in movimento” e, riguardo al realismo contenuto nel film, lo qualificò come moving paints (dipinto animato).
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All’epoca infatti era impossibile girare scene di battaglie colossali, poiché sarebbero servite molte comparse in costume e ciò avrebbe comportato dei costi altissimi. Senza parlare delle ambientazioni fantastiche, difficili da ricreare. Per cui fu utilizzata la tecnica del rotoscopio: Bakshi girò il film con attori dal vivo su pellicola in bianco e in nero e ogni singolo fotogramma fu successivamente ricalcato dagli animatori.
Gli animatori furono moltissimi e tra di loro vi era un giovane e ancora sconosciuto Tim Burton.
Una tecnica adoperata già a partire dal 1918 e per la prima volta interamente utilizzata proprio per il film di Bakshi, la quale permetteva di rendere più realistiche le figure umane ed i loro movimenti. Nonostante il film presenti alcune differenze con il libro, rimane comunque molto fedele all’opera di Tolkien. E lo stesso Jackson vi si ispirò fortemente, partire dal prologo sulla forgiatura degli anelli, la sconfitta di Sauron e la storia dell’anello del potere.
Alcune scene della versione animata sono state omaggiate dal regista neozelandese nel suo capolavoro del 2001, come quella degli hobbit che si nascondono dai Nazgul sotto la radice di un albero, l’imboscata dei Nazgul che trafiggono con le loro spade i letti in cui credono che gli hobbit stiano dormendo…scene piuttosto simili a quelle del cartone animato.
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Nonostante i 30,471,420 $ di incasso, la casa di produzione si rifiutò di finanziare il sequel del film di Bakshi, che avrebbe dovuto completare il racconto con le vicende de Il ritorno del re, pertanto il progetto si interruppe con la battaglia al Fosso di Helm con l’arrivo di Gandalf e l’ingresso di Frodo, Sam e Gollum nelle terre di Mordor. Nonostante la sua incompiutezza, la versione animata del 1978 resta un esperimento cinematografico dallo stile rivoluzionario, un’opera che lascia stupefatti per le sue capacità di suggestione.
Articolo di Lorenza Tersone