In ricordo di Nino Manfredi
“I fantastici cinque”. È quell’incredibile quintetto di attori italiani i cui nomi, solo a leggerli, richiedono una certa dose di giusta riverenza. Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e poi c’è lui, Nino Manfredi. Un personaggio diverso dagli altri. Attore poliedrico che, nel corso di una lunga e magnifica carriera, ha fatto della sua mimica un caratteristica unica e un vanto.
In un articolo del 1982, l’attore raccontava: “Non ho mai avuto interesse a stabilire record, nel senso di poter dire vantandomi: riesco a fare tanti film l’anno…. Basti pensare che io, in tutto, cioè in trent’anni di attività, ho interpretato solo una sessantina di film. Il mio ideale sarebbe quello di farne uno solo l’anno, ma di ottima qualità. Troppo spesso nel nostro mestiere si trascura la qualità pur di arraffare un lavoro, o per rivalità verso un collega: ‘ah!, tu hai fatto questo? Be’, allora io faccio quest’altro…’ “.
Nato il 22 marzo 1921 a Castro dei Volsci, un paesino ciociaro, allora in provincia di Roma, oggi nel Frusinate, Saturnino Manfredi intraprende e porta a termine gli studi di Giurisprudenza solamente per volere della famiglia. “A me questa laurea non seve, io farò l’attore”. Una frase, la sua, che suona come una profezia. È il suo modo per ripagare gli sforzi che i genitori fanno per cercare di garantirgli un futuro solido, visto che lui è piuttosto gracile e ha trascorso gli ultimi anni nel Sanatorio-Forlanini di Roma, per riprendersi da una fortissima tubercolosi che lo ha portato quasi alla morte.
È a questo punto della sua vita che iniziano le vicende narrate in In arte Nino, il film TV con uno strepitoso Elio Germano nei panni dello stesso Manfredi e Miriam Leone in quelli della futura moglie Erminia. Alla regìa giocano in casa, ed è proprio il figlio di Nino, Luca, a dirigere le scene. Con le musiche di Nicola Piovani, il film ripercorre la vita dell’attore dai primi anni ’40, dopo il difficile periodo del sanatorio, alla scelta di intraprendere gli studi all’Accademia d’Arte Drammatica, fino alle soglie del successo, con la partecipazione a Canzonissima.
Proprio sulla scia della fortunata trasmissione televisiva, Nino entrerà nelle case degli italiani col personaggio di “Bastiano, il barista di Ceccano” e il tormentone “fusse che fusse la vorta bbona…”. Arriva il successo e il richiamo del cinema si fa prepotente. Nanni Loy lo vuole tra i protagonisti di Audace colpo dei soliti ignoti. È il giusto riconoscimento di pubblico e critica per un attore dotato di un talento fuori dal comune e una vocazione artistica tutta naturale. I registi vedono in lui una perfetta personificazione dell’Italia dell’epoca e facilmente nascono quei sodalizi lavorativi che lo lanceranno nell’Olimpo del cinema italiano.
Ettore Scola lo valorizzerà, a fianco di Alberto Sordi, in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? e soprattutto C’eravamo tanto amati, autentica fotografia dell’Italia del dopoguerra. Ma è in Brutti, sporchi e cattivi del 1976 che Nino Manfredi darà una prova di maturità e interpretativa magistrale. Così come nel Geppetto in Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini. La figura del falegname è un qualcosa di candido, delicato, struggente e mai eguagliato da tutti gli attori che in futuro proveranno a interpretare lo stesso ruolo.
Ancora Nanni Loy (Made in Italy e Cafè Express), ma soprattutto Dino Risi e Luigi Magni, trovano in Manfredi il perfetto protagonista del loro cinema. Sotto l’abile regìa del cineasta romano, i suoi ruoli nella trilogia della Roma papalina sono da manuali del Cinema. “Er core. Maledetto er core e chi ce l’ha. A bella Chio’ io ho capito tutto. Ecco la rovina nostra, er cataclisma de li popoli: er core. E qui bisogna cambia’ tutto… E io che me ce stavo pure a gioca’ er collo pe fa’ contenta ‘na donna. E quanno lo buttamo giù er padrone se continuamo a anna’ n’ giro cor core ‘n mano?”. A parlare è il calzolaio Cornacchia la cui interpretazione, nel capolavoro di Luigi Magni Nell’anno del signore, gli varrà il David di Donatello come miglior attore protagonista.
Colleziona premi e riconoscimenti di ogni genere: a Cannes, poi cinque Nastri d’argento e cinque David di Donatello, tre Globi d’oro e tre Grolle d’oro per una carriera ricca di successi e soddisfazioni. Impersonerà spesso e volentieri il ruolo dell’italiano sincero, schietto, a volte frastornato dai cambiamenti sociali, ma sempre “de core” e con una propria dignità. Proprio per colpa “der core“, i suoi saranno non di rado personaggi che escono sconfitti o perdenti dai casi della vita, ma senza umiliazioni.
Amato dalla critica, osannato dal pubblico e stimato dai colleghi. Carlo Verdone lo definirà “un artista pieno di grazia e stile, un mito della sua generazione”. Gli stessi Lino Banfi, Renzo Arbore, Leo Gullotta, Cahterine Spaak ed Enrico Vanzina gli rivolgeranno sempre messaggi di stima e affetto. Nel 1955 sposa Erminia Ferrari, una compagna di vita per oltre mezzo secolo, fino a quel fatidico 4 giugno 2004. Nino Manfredi scende dal palcoscenico della vita, lasciandoci un ricordo ironico, semplice, sincero, talvolta malinconico. Versatile come solo lui sapeva essere. Proprio lui che “con la salute e un par de scarpe nove” ha fatto sognare intere generazioni di italiani.