Il Grande Gatsby: il gangster gentile di Fitzgerald ha ancora tanto da insegnarci
Era il 1925, quando lo scrittore americano Francis Scott Fitzgerald pubblicava uno dei suoi romanzi più celebri, “The Great Gatsby” (Il grande Gatsby), romanzo ambientato nella Long Island negli anni Venti. Così facendo, svelò al mondo il personaggio di Jay Gatsby, tra i più iconici della letteratura statunitense del Novecento. Dalle pagine dell’opera ne sono derivate delle trasposizioni cinematografiche: la prima nel 1926 nel film muto, andato purtroppo perduto, diretto da Herbert Brenon. Una seconda trasposizione vi fu nel 1949 con l’adattamento di Elliott Nugent. Nel 1974 il “Grande Gatsby” acquisì il volto di Robert Redford nella pellicola diretta da Jack Clayton.
Infine, trentanove anni dopo (2013), con il volto di Leonardo DiCaprio nella particolare (e molto sopra le righe) versione di Baz Luhrmann, regista famoso per le sue trasposizioni in chiave moderna di storie ambientate nel passato. Vale la pena citare il suo “Romeo+Giulietta” del 1996. Di recente si è parlato di una serie tv ispirata al romanzo: il produttore Blake Hazard, pronipote di Fitzgerald, ha accennato a una rilettura di questa storia senza tempo con un nuovo sguardo ai suoi contenuti. A otto anni dall’uscita del remake di Luhrmann è doveroso ripercorrere la storia e le caratteristiche del grande personaggio che ha fatto riflettere e innamorare numerose generazioni.
Ma chi è Jay Gatsby? Questa è la domanda che percorre insistentemente l’intera storia. Tutti se lo chiedono in continuazione e i personaggi che incontriamo nel corso delle pagine ne illustrano differenti versioni. Sia nel romanzo che nelle trasposizioni cinematografiche appare come un uomo sfuggente, poco facile da inquadrare. Ma alla fine la risposta arriva, abbagliante come la luce verde infondo al suo pontile. Gatsby è un sognatore, un uomo che come un fiore di loto si è adegua al mondo a cui appartiene ma non per questo la sua purezza ne viene contaminata, men che meno i propri ideali. Jay, nato povero e privo di mezzi sogna una vita grandiosa per sé e per Daisy, l’amore della sua vita. Sogno che lo porta a lasciarla e a rischiare di perderla per sempre pur di innalzarsi e ad afferrare l’occasione di abbandonare la mediocrità.
Gatsby, scaltro e intelligente, fa tesoro delle sue esperienze e non butta via niente, sa che un giorno gli serviranno. E quando la fortuna incontra l’occasione il risultato è quello di un uomo che, grazie a determinazione e volontà, da niente riesce ad avere tutto. Ma gli anni passano e le cose cambiano e Jay si ritrova ad avere tutto: soldi, ricchezza e ogni tipo di riconoscimento e privilegio. Ma non ha Daisy. Lei , stanca di aspettare, abbraccia una nuova vita, forse per comodo o forse per amore, ma alla fine ha la “forza” di abbandonare il suo sogno giovanile per guardare in faccia la realtà. Gatsby no, lui non abbandona il suo sogno e la visione della vita insieme a Daisy che da sempre abita la sua mente.
Ma chi è il più forte dei due?
Quanto coraggio ci vuole nel portare avanti un sogno ad ogni costo?
Quanto pesa la speranza?
Forse, come sosteneva Bukowski, questa altro non è che un fungo velenoso. Abbandonala e sarai libero…
Gatsby fino alla fine si batte per il suo sogno giovanile, non facendo però i conti con la mutevolezza della vita e con il cambiamento. Un cambiamento che, come un bambino, non riesce ad accettare e a comprendere. Convinto di poter ripetere il passato, va avanti ancora e ancora e con pazienza aspetta, aspetta lungo il suo pontile cercando di afferrare la luce verde proveniente da Daisy al di là della baia. Ma una luce, come un sogno così distante, è inafferrabile.
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Alla fine, immersi in un carosello di feste sfarzose, ricchezza ma soprattutto ipocrisia e falsità, comprendiamo come l’unico vero essere umano di tutta la vicenda sia Gatsby, insieme all’unica persona che lo ha sempre visto per quello che è realmente: il buono e onesto cugino di Daisy che, con una delicatezza disarmante, cerca di tenerlo con i piedi per terra, supportandolo ma non giudicandolo.
A novantasei anni dall’uscita del romanzo di Fitzgerald possiamo ancora immaginare il vecchio Jay lungo il suo pontile perseguire il suo sogno di speranza.
“Così continuiamo a remare, barche controcorrente, risospinti senza posa nel passato“.