Il dramma di Oscar Wilde nel suo ultimo anno di vita in “Divagazioni e delizie” con Daniele Pecci a Sulmona.
Ironia, fragore, dolore e vuoto dell’anima. Queste sono le emozioni trasmesse al pubblico durante la rappresentazione di “Divagazioni e delizie” con Daniele Pecci al Teatro Comunale Maria Caniglia di Sulmona, sabato 18 marzo.
Con la traduzione e regia di Daniele Pecci, con le musiche di Patrizio Maria D’Artista, con i costumi di Alessandro Lai e con il regista assistente Raffaele Latagliata, la nuova produzione del Teatro Stabile d’Abruzzo, Shakespeare & Co. E Teatro Caniglia di Sulmona si è assistito alla messa in scena della pièce, scritta dall’autore statunitense John Gay, recentemente scomparso.
Una sapiente selezione di saggi, romanzi, lettere, racconti brevi, commedie e aforismi dell’intramontabile quanto tormentato Oscar Wilde. È lo stesso Oscar Wilde a mettere a nudo i propri pensieri con un flusso di coscienza scrosciante, impetuoso, a tratti anche interattivo.
Si narra la condizione per cui lo scrittore esule in Francia, dopo un periodo straziante nelle prigioni francesi, stanco, malato, affetto da infezioni che lo costringono a sopportare forti dolori fisici, ricolmo di debiti e con il cuore spezzato, sia stato costretto a diventare la sceneggiatura di se stesso affittando piccoli palcoscenici per raccontarsi e farsi conoscere per il “mostro” che gli altri hanno disegnato. Uno scandalo vivente che, per poter mangiare, mortifica i propri sentimenti anestetizzati dalla crudeltà di una società ipocrita e gretta e si sottomette alla mercé del popolo inquisitore.
Oscar Wilde è conosciuto come il dissipatore del piacere, del buon vivere in nome dell’arte intesa come unica fonte del sublime estetico e morale. Una morale libera, appagante e senza confini. Daniele Pecci ha saputo estrarre dal dolore di un poeta lacerato nel profondo il senso di oppressione di un anima libera costretta tra le catene di regole stigmatizzate da chi non ha mai vissuto il vero amore per l’esistenza. Una performance autobiografica disegnata intorno alla figura di un “grasso, infermo e contorto uomo di letteratura”. Il pubblico ha avuto la possibilità di entrare nelle stanze più recondite della mente di un Wilde stremato dalle torture del sistema del tempo e di rivivere la follia penetrante del suo ultimo anno di vita, il 1899.
Un racconto nel racconto che sviluppa un’altalena di emozioni dal retrogusto nostalgico. Il poeta si introduce con un sarcasmo feroce e si interfaccia con gli spettatori mostrando un amaro senso di rassegnazione alla chiusura di un mondo crudelmente superficiale. Il monologo prosegue lento con l’intento di trasmettere tutta la pesantezza che abita nel cuore del parlante. La carcerazione, la vita da esule tra Francia e Napoli, l’immagine delle dita puntate contro l’arte, la morte della madre che non ha saputo meritare un degno commiato. A recitare è un uomo che si estranea da sé bevendo assenzio e che procede a piccoli passi con plumbea sofferenza. Gli attimi di tristezza sono intervallati da brevissimi richiami simpatici ai lavoratori del teatro che entrano ed escono con il fine di far respirare l’animo di un pubblico caricato del peso delle parole.
Oscar Wilde racconta dell’amore narrato nello struggente “De Profundis”, un romanzo che ripercorre la storia appassionata e sfortunata con Lord Alfred Douglas. Anche in questo caso la ferita inferta dalle azioni taglienti dell’uomo che tanto ammirava è stata empaticamente trasmessa, come a far sentire la bruciante impossibilità di guarigione.
Sulmona ha goduto di uno spettacolo struggente e, con grande orgoglio e soddisfazione, ha accolto all’interno del suo teatro una sorprendente presenza di ragazzi. Segno, questo, di un grande lavoro di squadra e di una rosa di spettacoli accattivanti in grado di far innamorare della cultura anche i più giovani.