“Il Diavolo veste Prada” avrà un sequel: il segreto del successo del film con Meryl Streep
Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.
Ci sono voluti solo diciotto anni anni ma la notizia tanto attesa da milioni di spettatori è finalmente stata ufficializzata: “Il Diavolo veste Prada 2” si farà. L’annuncio arriva da Variety, secondo cui la Disney sarebbe al lavoro sul sequel del film cult del 2006 di David Frankel. Sembra certa la presenza di Meryl Streep e di Emily Blunt, ma non quella di Anne Hathaway.
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Tratto dall’omonimo libro di Lauren Weisberger, il film ottenne un successo da record al botteghino: incassò ben 326 milioni di dollari in tutto il mondo, ma ne costò solo una trentina, collezionando. nomination e premi.
A distanza di diciotto anni “Il Diavolo veste Prada” è ancora amatissimo: prima di rivelare tutto quello che sappiamo sul sequel, scopriamo la ricetta di un tale successo.
Una denuncia satirica
Nel suo romanzo autobiografico, la Weisberger denunciava gli abusi subiti dalla direttrice di Vogue.
“Il Diavolo veste Prada” ci porta al cospetto di un vero e proprio “squalo” del mondo della stampa e della moda: Miranda Priestley (Meryl Streep). Attraverso la giovane e in gamba Andy (Anne Hathaway), che diventa quasi per caso sua assistente, lo spettatore scopre uno ad uno i modi di fare della famosissima e temutissima redattrice della rivista Runway e come ottenere il posto di “lavoro per cui un milione di ragazze morirebbero” possa diventare un vero e proprio inferno.
Basti pensare alla tremenda abitudine di Miranda di lanciare cappotti e borse sulla scrivania della sua assistente, alle sue abitudini alimentari che richiedono tempi fiscalissimi, o al rituale del book che bisogna consegnare alle 22 direttamente nell’appartamento della tigre senza farsi notare. O all’aver etichettato come eccessiva e imbarazzante la taglia 42 di Andrea/Anne Hathaway, “la ragazza sveglia e grassa“.
Fin qui, non sembra esserci niente di originale in quella che appare un’altra versione girlie nel racconto del “brutto anatroccolo” che, dopo numerose prove e un cambio look, cercherà di resistere alla tentazione di diventare come quegli orribili modelli di superficialità che affianca.
Ma più che una semplice satira del mondo della moda, con i classici cliché come le figure dello stilista stravagante o dell’assistente gay (Stanley Tucci), il film di David Frankel – che ha diretto anche alcuni episodi di “Sex and the city” – è soprattutto un formidabile ritratto di una donna (iper)attiva e una severa critica al mondo del lavoro. Senza peli sulla lingua, ci descrive una donna per cui il lavoro sembra essere l’unica ragione di vita e le cui esigenze, tanto necessarie quanto incomprensibili, sfiora a più riprese il mobbing.
In quella che è prima di tutto una commedia, ogni personaggio sopporta molteplici umiliazioni pur di mantenere il proprio posto, ognuno si presta ad un grande gioco di ruolo tanto patetico quanto necessario alla propria sopravvivenza. E lo spettatore, da buon sadico, si diverte con le disgrazie di tutto questo bel mondo, perché nessuno in questo film paga seriamente o irreparabilmente le conseguenze del mobbing, nemmeno la prima assistente che finisce in ospedale, ma per altre ragioni.
Meryl Streep: cattiva per scelta
“Il Diavolo veste Prada” è inequivocabilmente una denuncia satirica del mobbing sul posto di lavoro. Ma a rendere questo film un piccolo capolavoro è una caratteristica dell’antagonista. Nonostante la sceneggiatura hollywoodiana mostri un lato umano di Miranda Priestley nel finale, la ricerca di un accenno di empatia nello spettatore non rende affatto perdonabili i tradimenti, i maltrattamenti e le manipolazioni che la “cattiva” mette in atto senza mai tentennare, senza vergogna o rimorso. La scena in cui Miranda appare “più umana” ci permette solo di intravedere una persona dietro la donna d’affari, ma non un tragico passato che faccia quasi provare tenerezza per l’antagonista.
L’immensa Meryl Streep è riuscita a trasformare un personaggio molto cartoonesco (una sorta di Crudelia riconvertita in dea della moda) in un vero essere umano, la cui perversa mostruosità non è mai una conseguenza – il che ne farebbe una vittima – ma una scelta. Con la sua volontà di puntare in alto (e di restarci), Miranda Priestley si è creata un Cavallo di Troia capace di resistere a tutto, tra cui nemici e falsi amici arrivisti che desiderano prendere il suo ambitissimo posto.
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Meryl Streep, dimostrandosi magistralmente perfetta anche in un ruolo comico, arricchisce il suo personaggio di villain puro con un’infinità di sfumature: la sua Miranda è tanto divertente quanto terrificante, grazie anche all’estrema dolcezza con cui si diverte a torturare il suo team. La voce dolce, quasi angelica, dell’attrice infonde al suo personaggio una malizia dolcissima, fragile e fastidiosa con un’incredibile moderazione: Meryl Streep non eccede mai e riesce a non cadere nella facile caricatura. Il suo personaggio di Miranda ha attraversato due decenni senza invecchiare o stancare, diventando icona della cultura camp.
Con il mento perennemente alzato e con lo sguardo capace di spogliare facendo sentire in imbarazzo chiunque, Miranda Priestley possiede tutte quelle caratteristiche che si troverebbero quasi normali in un uomo nella stessa posizione, ma in questo caso provoca risate sfacciate e consapevoli nello spettatore.
La scrittrice Lauren Weisberger ha giurato di aver volutamente esagerato nel descrivere gli aspetti che rendono detestabilmente il personaggio ispirato alla caporedattrice di Vogue, temuta icona della stampa e della moda. Ma al pubblico poco importa: anche se la sceneggiatura cerca di umanizzare Miranda Priestly nel finale, Meryl Streep non si separa mai da quell’aria di superiorità soddisfatta che rende il personaggio così apprezzabile: un vero cattivo che non chiede mai scusa e non deve spiegazioni a nessuno.
Emily Blunt e Anne Hathaway: una scoperta
Un altro ingrediente del successo de “Il Diavolo veste Prada” è la cura con cui sono stati confezionati i personaggi secondari, vere ancore del film quando la sceneggiatura rischia di risultare un déjà-vu.
Nel ruolo della prima assistente, Emily Blunt (scoperta in “My Summer of Love” l’anno precedente) rivela meravigliose doti per ruoli comici con un tempismo impeccabile nelle sue battute ed espressioni indimenticabili, donando al suo personaggio quell’aspetto deliziosamente sadico.
A vestire i panni (l’iconico maglioncino ceruleo prima, capi d’alta moda poi) della coprotagonista è Anne Hathaway. Allora è ancora la “graziosa” Anne Hathaway, icona della commedia Disney “Pretty Princess” e apprezzata in “I segreti di Brokeback Mountain” al fianco di Heath Ledger e Jake Gyllenhaal. Così la Hathaway inizia la sua scalata al successo: ne “Il Diavolo veste Prada“, la critica la trova degna erede di una Julia Roberts ormai abbonata ai ruoli “adulti”. Vero o no, è riuscita a condividere lo schermo con la monumentale Meryl Streep senza esserne completamente eclissata: un’impresa non da poco.
Un incredibile successo
“Il Diavolo veste Prada” è dunque il perfetto dipinto della crudeltà nel mondo del lavoro, che mette in evidenza gli aspetti ridicoli nel mondo della moda. Una patina sontuosa, fatta di sfilate, apparenza e diete drastiche, sotto cui c’è un oceano di ipocrisia, negoziati, trattative, ben lungi dal glamour messo in mostra. Ne risulta un’ottima commedia certamente meno cruda del libro da cui è ispirata, ma ben apprezzata grazie alla magistrale interpretazione del cast.
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I migliori cinque incassi del film sono stati registrati negli Stati Uniti, in Regno Unito, in Germania, in Italia e in Francia: oltre 300 milioni, una cifra più che sorprendente per una commedia definita girlie o bitchie.
Presto “Il Diavolo veste Prada” è entrato nell’immaginario comune: ne è un esempio la gag di Anne Hathaway e Emily Blunt – e la perfetta reazione di Meryl Streep – alla Cerimonia degli Oscar 2007.
Il sequel
Anche il romanzo della Weisberger ha un sequel dal titolo “La vendetta veste Prada: Il diavolo è tornato” (2013). Il secondo libro segue Andy Sachs dieci anni dopo aver lasciato il lavoro “per cui un milione di ragazze morirebbero” e racconta la sua avventura insieme alla sua ex nemesi e co-assistente Emily nella creazione di una rivista di alta moda nuziale chiamata “The Plunge“.
Secondo le indiscrezioni riportate da Variety, il sequel del film potrebbe seguire la carriera ormai in declino di Miranda, che sarà costretta a confrontarsi con la crisi dell’editoria. La Prestley si troverà faccia a faccia con Emily, ora dirigente di un importante gruppo del lusso, dei cui fondi pubblicitari Miranda ha disperatamente bisogno.