Il cielo di giugno: il Cancro e la via Lattea
Giugno, il 6° mese dell’anno nel Calendario Gregoriano, è fin dai tempi più remoti il mese della luce e della rinascita. Il 21, è infatti il giorno del solstizio d’estate, che segna il passaggio dalla primavera alla fase più soleggiata dell’anno. Proprio in questa data l’inclinazione dell’asse terrestre è tale da produrre la massima esposizione alla luce, in pratica, è il giorno più lungo dell’anno, opposto al 21 dicembre, cioè il solstizio d’inverno, che è invece quello più corto.
Oltre all’abbondanza delle messi e alla fertilità dei campi, la particolare e fortunata condizione astronomica di giugno favorisce la perfetta visione, ad est dell’emisfero boreale, della lunga scia della via Lattea, mentre la volta celeste è dominata dalla costellazione del Cancro. Non tutti sanno che per la mitologia greca (e poi romana) la via Lattea e il Cancro hanno origini comuni, la loro nascita infatti, si incrocia con le storie leggendarie del mitico Eracle e dell’eterno astio provato nei confronti dell’eroe dalla gelosa dea Era/Giunone per i romani.
La via Lattea
Com’è noto, uno dei principali passatempi del più grande degli dei dell’Olimpo, Zeus, è quello di tradire la sua sposa, Era. Un giorno l’ingorda divinità si innamora della giovane principessa Alcmena che aveva già accettato di sposare Anfitrione, il re di Tirinto, a condizione che costui sconfiggesse in battaglia un popolo che aveva recato torto alla di lei famiglia. Quando il re parte alla volta della guerra promessa alla sua futura moglie, il padre degli dei, assume le sembianze di Anfitrione per poter entrare nel letto di Alcmena. Trascorse tre notti di passione Zeus va via, ma proprio a questo punto il vero re fa ritorno al suo palazzo. Anche lui si unisce ad Alcmena che in seguito a queste caldissime notti darà alla luce due figli: quello di Zeus, Alcide, che sarà poi rinominato Eracle (Ercole per i romani), e Ificlo, il figlio di Anfitrione.
Il parto del piccolo Eracle è estremamente doloroso per la fanciulla che turbata anche dal fatto che il neonato sia già forte e formato, si reca dall’indovino Tiresia per avere risposte in merito all’abissale differenza tra i suoi due pargoli. Tiresia a questo punto le rivela l’inganno di Zeus. Alcmena, spaventata, temendo una vendetta da parte della permalosissima e vendicativa consorte del dio, abbandona il piccolo nei pressi di Tebe, convinta che Zeus avrebbe trovato un modo di salvare il suo bambino.
Così sarà, Il dio con un ennesimo inganno fa in modo che Era ed Atena trovino il piccolo abbandonato. Impietosita Era, che non ha riconosciuto il piccolo come il figlio illegittimo del consorte, decide di allattarlo ma il neonato, dotato di forza sovrumana, succhia così forte dall’abbondante seno della dea che questa subito lo stacca dalla sua mammella. Il movimento improvviso fa schizzare fino al cielo il latte che stava uscendo dal seno di Era. Così, ancora oggi, la scia del latte materno della dea, che da il nome alla nostra galassia, è fissa nel cielo a ricordarci che anche i più bei prodigi possono essere il frutto di un triste inganno.
La costellazione del Cancro
A seguito di una lunga serie di eventi che si intrecciano nelle trame fittissime del mito, Eracle, colpito da un raptus di follia provocatogli da Era, che, ricordiamolo, lo odia a morte in quanto frutto del tradimento del marito, uccide la moglie e i figli. Quado rinsavisce, sconvolto dal dolore, interroga la Pizia dell’oracolo di Delfi che gli annuncia che l’unico modo per lavare l’onta degli omicidi che ha commesso deve recarsi dal re di Tirinto e servirlo per 12 anni.
Il re i questione è Euristeo che, sempre perchè il mito greco è peggio di Game of Thrones, è in realtà l’usurpatore del trono che sarebbe di Eracle, inconsapevole del suo diritto di sovrano legittimo del regno. Euristeo perciò detesta Eracle e ne è profondamente spaventato. Quando lo vede arrivare alla sua corte si nasconde all’interno di una grande giara di bronzo, da qui comunicherà ai suoi servi gli ordini da dare all’eroe. Così comincia l’epopea delle 12 fatiche di Eracle, quella che interessa a noi è la seconda.
Euristeo manda Eracle a combattere un orrendo mostro che infesta la città di Lerna, sulle coste dell’ Argolide. Il terrificante avversario è l’Idra, figlia di Tifone e Echidna, sorella tra gli altri di Cerbero e Chimera, allevata però da Era. Proprio le trame di Era infatti conducono l’eroe allo scontro, guarda caso, con uno dei suoi più terribili “figli”. L’ Idra viene descritta come un gigantesco serpente acquatico con 9 teste che si rigenerano se mozzate.
Così la descrive Ovidio: “Quello si rigenerava dalle sue stesse ferite, e delle cento teste che aveva, non ce n’era una che si potesse mozzare senza che sul collo, più sano di prima, due gliene succedessero.“
(Ovidio, Metamorfosi, IX, 70-72).
Leggi anche La necropoli di Fossa: il fascino di un sito che non smette di stupire (Video)
Lo scontro è estenuante, l’eroe taglia le teste ma queste ricrescono, stremandolo. Proprio durante questa battaglia all’ultimo sangue dalle profondità della terra viene fuori un granchio gigante: “Un granchio enorme venne in aiuto dell’idra mordendo il piede di Eracle, ma Eracle lo uccise.“(Apollodoro, Biblioteca, II, 5, 2)
Il “Carcino” pizzica con le chele i piedi di Eracle che però lo schiaccia sotto il suo tallone. Per premiarlo dell’aiuto che le aveva dato, Era scolpisce la figura del granchio nelle stelle, così nasce la costellazione del Cacro, che per l’astrologia è padrone del cielo dal 22 giugno al 22 luglio . Anche l’idra avrà dalla dea lo stesso dono, infatti anche l’Idra è oggi una costellazione. In realtà la maggior parte delle “fere” affrontate da Eracle nelle sue fatiche, verranno poi scolpite nel cielo dopo essere state sconfitte dal semidio. Uguale destino tocca a Eracle stesso, condannato quasi per scherzo a condividere l’eternità con i suoi mostri.
“Ma a che giova avere reso impavido
il genere umano? Gli dèi non hanno pace:
la terra tutta ripulita vede nel cielo
qualunque cosa abbia temuto: Giunone ha trasferito le belve.”
(Seneca, Ercole sul Monte Eta, 61-68)