Il castello di Rocca Calascio, bellezza d’Abruzzo tra sogno e realtà
Rocca Calascio è un luogo magico in cui il confine tra realtà e fantasia si fa sempre più sottile mano a mano che ci si inoltra nella sua storia e nella sua leggenda, fino a sparire del tutto.
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…”
Quel monologo improvvisato da Rutger Hauer nel 1982 nella sua magistrale, commovente interpretazione del replicante Roy Batty nel film capolavoro di Ridley Scott Blade Runner, che sfido chiunque a non aver mai sentito. Una frase così fortemente d’impatto che è ormai praticamente entrata nella quotidianità.
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Ma Hauer non poteva sapere, quando la pronunciò, che tre anni più tardi, nell’85, sul set di Ladyhawke avrebbe realmente visto cose di una bellezza e di un incanto rari, difficilmente fruibili o accessibili. Per molti ma non per tutti. Cose che, chi vive in quelle affollate giungle di asfalto e cemento a corrente alternata, può soltanto immaginare nei suoi sogni più belli.
Rocca Calascio è l’unica frazione del comune di Calascio, un piccolo borgo di origine medievale in provincia dell’Aquila, di uno splendore più unico che raro. Il paese viene spesso confuso con il piccolissimo borgo della sua omonima frazione, ma sono due entità distinte, seppur contigue. Rocca Calascio è la parte più alta del villaggio dove un tempo sorgeva, ai piedi del suo bellissimo castello, il centro abitato ormai spopolato e abbandonato. Calascio invece è il paese vero e proprio, dove si svolgono le vite di poco più di 130 anime, nella più assoluta pace e tranquillità, lontano dagli inutili rumori e dalla stupida e insensata frenesia del mondo moderno.
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Come tutti i borghi nati nell’alto medioevo, l’abitato attorno la rocca nacque come logica conseguenza dell’edificazione del magnifico castello, avvenuta attorno al XII secolo. Tale costruzione fu voluta presumibilmente da Ruggero II d’Altavilla, primo Re di Sicilia e fondatore del Regno di Sicilia, a seguito della conquista normanna.
Ma cosa rende così unica questa perla, custodita con cura e affetto dai suoi pochissimi abitanti, in quell’umile ma fiero e verace cofanetto portagioie chiamato Abruzzo? Indubbiamente, tra le altre cose, il suo castello per l’appunto, che è meta di turisti da ogni dove. Ma è soprattutto la sua strategica posizione a dir poco altamente illuminata in cui è collocato, che sfiora i 1500 m s.l.m., che lo rende il castello più elevato d’Italia e tra più alti d’Europa, ad attrarre così tanto i visitatori. E scusate se è poco.
Nel susseguirsi dei secoli dalla sua costruzione, la sua proprietà passò di mano in mano alle varie famiglie nobiliari quali i Colonna, i Celano, i Medici e i Borbone, ma fu solo sotto i Piccolomini nel 1463 che venne costruita la cinta muraria e le quattro torri cilindriche, per volontà specifica di Antonio Piccolomini Todeschini.
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Uno dei difetti della storia, però, è che spesso si usa accostare tali altisonanti nomi di sovrani (o pseudo-tali) alle grandi opere che li ospitavano, come fossero il risultato, il frutto dei loro effettivi sforzi fisici compiuti nella loro realizzazione. Come se li avessero costruiti loro stessi con le loro mani, per intenderci. Nei libri di storia, nessuno ricorda mai il nome del povero Cristo che mise operativamente a repentaglio la propria vita, mattone su mattone, fino alla completa realizzazione di simili strutture.
Non possiamo farlo nemmeno noi ovviamente, ma vorremmo spendere un secondo per farvi riflettere su quale coraggio, quale forza fisica, quale ingegno dovevano avere le nostre genti del passato. Perché basti vedere, semplicemente anche solo in foto, su che razza di impervio sperone roccioso fu costruito questo imponente castello in tempi assai difficili in cui vivere, esposti al freddo, alla fame e alla sete, e alle intemperie di ogni genere. A vederlo sia da vicino che da lontano, non si può fare a meno di immaginare quanti e quali rischi abbiano corso gli operai dell’epoca, a cui va tutto il nostro rispetto per aver contribuito a seminare un po’ di bellezza nel mondo.
Il castello venne tirato su inizialmente per sorvegliare il territorio circostante contro possibili attacchi nemici, ed era in collegamento con gli altri castelli d’Abruzzo tramite un efficace sistema di torce e specchi con cui inviare segnali precedentemente concordati. Dei semplici metodi che rendevano però questa rete comunicativa, che si estendeva fino alla costa, altamente efficiente e assai ben organizzata.
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Successivamente fu molto utilizzato nei periodi della transumanza, in quanto grazie alla sua posizione si aveva (e si ha) un’ampia veduta su buona parte delle valle del Tirino, dell’altopiano di Navelli e del suo antico tratturo, e anche sul versante sud del massiccio del Gran Sasso d’Italia. Funzionalità ed estetica riassunte in una cosa sola. Perché anche l’occhio vuole la sua parte, ed ha perfettamente ragione. Dopo secoli di splendore dunque, agli inizi del XVIII secolo un violento terremoto danneggió gravemente il castello e distrusse totalmente il borgo abitato ai suoi piedi. Fu così di fatti che nacque il paese sottostante di Calascio, quando i sopravvissuti vi trovarono riparo e ricominciarono qui una nuova vita.
Seguirono due secoli di totale abbandono e incuria, fino al completo spopolamento del 1957. Fu solo grazie all’impulso dato dalla nuova ondata del cinema favolesco e innocente di altri tempi (come dicevamo all’inizio), come Ladyhawke, che iniziarono i lavori di restauro nel 1986, e che terminarono nel 1989, restituendo a questa stupenda fortificazione il suo antico fasto e splendore. Un’altra famosissima pellicola fu girata qui, in quegli stessi anni, e stiamo parlando niente di meno che del film tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa. Lo sapevate? Se la risposta è no bene, ora lo sapete.
Dobbiamo quindi molto al cinema, e alla grande intuizione che ebbero tali registi nel saper sfruttare, anzi, valorizzare, questa terra spesso dimenticata, ma dal potenziale inestimabile. Perché non c’è al mondo motore più potente dell’arte, per rinnovare, per creare, e per salvare voi stessi e la vostra storia dal dimenticatoio. Oggi l’accesso al castello di Rocca Calascio, dopo i suddetti restauri, è pienamente gratuito, e vi si arriva a piedi partendo dal paese di Calascio, nei periodi turistici nei quali l’accesso alle auto alla frazione superiore è vietato. Il percorso è facilmente usufruibile da tutti, e non richiede grande impegno fisico, ma una volta giunti lì, vi saranno donati dei panorami, dei tramonti che vi faranno letteralmente sognare ad occhi aperti. Di quelli che solo l’Abruzzo sa regalare.
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Poco più in basso, di fianco al castello, si trova invece la chiesetta a base ottagonale di Santa Maria della pietà, eretta nel 1596, di stile baroccheggiante, sempre illuminata da dei faretti che di notte la rendono simile a una piccola torcia, come potete anche constatare dalla fotogallery più in basso. Nell’oscurità totale e nel silenzio di quelle altitudini, sotto un cielo pulito, pieno di stelle, il contrasto con quelle luci calde rende l’atmosfera molto suggestiva ed evocativa, bellissima. Leggenda vuole che la chiesa sia stata costruita dalla popolazione come ringraziamento alla vergine Maria, che li aiutò nell’impresa di respingere e sconfiggere una banda di briganti, giunta per fare razzie. Di fatti, all’interno troviamo due altari: uno che custodisce il quadro della Madonna mentre l’altro, di fianco, dedicato a San Michele con una sua statua. È tuttora usata per i matrimoni civili. Vi consiglio di visitarla, quando aperta al pubblico, e di soffermarvi nei suoi pressi per un po’, al tramonto, e di lanciare il vostro sguardo e il vostro cuore oltre le montagne, e anche più lontano. Fidatevi, mi ringrazierete.
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Non vi resta adesso che addentrarvi nella storia con tutto il vostro corpo, non solo coi vostri occhi. Visitate anche il borgo sottostante per gustare qualche specialità locale, non resterete delusi.
Ricordatevi sempre di non dimenticare, e abbiate sempre a mente questo, quasi come fosse un mantra: la bellezza salverà il mondo. Possa tornarvi sempre utile.
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