Il calcio di Eric Cantona: fenomenologia di un ribelle
Il calcio. Sia come sport che come gesto atletico. O violento. C’è chi è riuscito a diventare un simbolo di tutti i significati che può avere la parola “calcio”.
Costui è Eric Cantona. Calciatore del Manchester United dal 1992 al 1997 in grado di vincere 4 Premier League e 2 FA Cup. Solo un anno, dunque, non gli riuscì di guidare i mancuniani alla vittoria del campionato. Proprio l’anno in cui fu squalificato per ben 8 mesi e 2 mesi di carcere (commutati in 120 ore di servizi sociali).
Il calcio e la squalifica
Squalifica che avvenne perché il 25 gennaio del 1995 dopo essere stato espulso per un fallo su Richard Shaw, giocatore del Crystal Palace, il numero 7 del Manchester Utd decise di entrare a gamba tesa nella storia del calcio.
Il Selhurst Park, stadio del Crystal Palace, esulta, insulta Cantona che si avvia negli spogliatoi. Matthew Simmons, tifoso del Palace, esagera. La reazione del fenomeno di Marsiglia sbalordisce tutti. Calcio volante degno di Bruce Lee e tifoso ammutolito nonché stordito. “The King” viene squalificato per 8 mesi e la sua squadra non riuscirà a vincere il campionato. Cosa che allo United riuscirà l’anno seguente grazie al ritorno, in Ottobre, del suo capitano.
Eric Cantona, uno tra i numeri 7 più forti della storia del calcio. Quel numero che a Manchester ha un certo peso. George Best, Bryan Robson, David Beckham, Cristiano Ronaldo. Tanto per per citarne alcuni. Alcuni che con i loro piedi hanno fatto impazzire (CR7 continua) le folle. Best è stato sicuramente uno dei primi calciatori-divi. Un atleta copertina, bello, intelligente e sopra le righe.
Lo stesso francese, con il colletto della maglietta sempre alzato e portamento fiero a testa alta, non si è certo fatto parlare dietro per quanto riguarda l’essere sopra le righe. Lasciò il calcio a 31 anni entrando poi nel mondo del cinema, sia come attore che come regista. Questo suo percorso ricorda quello di un altro folle del calcio inglese: Vinnie “Psycho” Jones.
Il mio amico Eric: Cantona tra cinema e calcio
Nel film “Il mio amico Eric” si parla di un impiegato delle poste britanniche in crisi, con due matrimoni falliti e due figliastri da mantenere. La sua vita gli fa letteralmente schifo. Solo l’amore per il calcio, per il Manchester United, lo aiuta ad andare avanti. E dopo aver rubato dell’erba al figlio gli compare, come una visione, il suo idolo. Eric Cantona. Con il leggendario numero 7 rivivrà alcuni momenti della sua carriera, in cui il calcio è una perfetta metafora della vita. Questi flashback sembrano lenire l’insoddisfazione del postino.
Il film non rende divina la figura di Cantona ma si concentra sul suo lato più umano e debole, ricordando anche passaggi scomodi e controversi della sua carriera. Eric, così si chiama anche il postino, è pervaso da un’emozione tipica dei bambini quando incontrano un loro idolo ma che solo chi vive a fondo il calcio sa che anche a 70 anni, davanti ad un calciatore della propria squadra, l’amore per quella maglia mozzerà il fiato.
Cantona in questo ruolo interpreta alla perfezione ciò che molte volte rappresenta una squadra di calcio. Un appiglio, un’ancora di salvezza, un’evasione dalla piattezza della vita. L’ex capitano del Manchester, a sorpresa, dopo aver commentato con il postino alcuni dei suoi gol più spettacolari, dirà che il suo gesto preferito però fu un assist. Un passaggio di prima, di esterno, a scavalcare la difesa per far segnare un suo compagno. Sorprendendo tutti. Difesa, qualche compagno e i tifosi.
Questo passaggio, nel film diretto da Ken Loach nel 2009, è il simbolo dell’unione, dell’aver fiducia negli amici. Quel legame che permette di non andare a fondo. Anche nelle periferie inglesi (come quella del film) in cui la gente è abbandonata a se stessa e affoga le proprie frustrazioni nella birra di un pub aspettando la partita della propria squadra.
Il filtrante di Cantona rappresenta proprio questo. Il lavoro di squadra. Quel vincolo comunitario che risulta risolutore dei problemi.
Non solo il calcio volante: ribelle a 360°
Un pò come quel calcio del 25 gennaio 1995. Risolutore. Sorprendente. Se vogliamo anche coraggioso. Il coraggio d’altronde, e anche un po’ d’arroganza, non sono mai mancati al francese. Come quella volta, nel 1991, quando ancora giocava in Francia con il Nimes e fu espulso per aver tirato una pallonata in faccia all’arbitro. Convocato in commissione disciplinare e diede dell’idiota ad ogni membro di tale commissione.
Oppure quando scatenò una rissa ad Istanbul, nello stadio del Galatasaray, per poi attaccare briga con un poliziotto dentro il tunnel degli spogliatoi.
Ma i geni ribelli come Cantona vanno apprezzati per ciò che sono. Altrimenti si rischia di fare la fine del povero Matthew Simmons. Tanto vale chiudere gli occhi, immaginare di essere all’Old Trafford e provare ad ascoltare quel coro che oggi ancora rimbomba dalle tribune: “He’s our saviour from afar. What a friend we had in Jesus. And his name was Cantona”.