I Borbone? L’unico loro primato sono le fake news
Non avviene di rado che si leggano o si sentano affermazioni di questo tipo: “Prima dell’Unità il Sud era ricco e istruito. L’industria del regno di Napoli era la prima in Italia. Garibaldi era uno schiavista, Pisacane un disertore e Mazzini un terrorista. Il Risorgimento comportò il genocidio del popolo meridionale”.
Oppure ancora: “Il regno delle Due Sicilie era una specie di paradiso in terra: ben amministrato da un governo illuminato come quello napoletano, aveva raggiunto risultati straordinari che lo ponevano all’avanguardia in Europa. Ma proprio questo benessere aveva acceso la cupidigia del Nord che con la forza delle armi se n’è impadronito, distruggendone l’industria, occupando militarmente i territori e sterminando i ‘briganti’, in realtà eroici resistenti all’oppressione”.
Questo è il racconto del Risorgimento che emerge nella pubblicistica e nella propaganda neoborbonica: una straordinaria collezione di falsi che trovano però sempre maggiore credito nell’opinione pubblica, soprattutto in quella meridionale. Vere e proprie fake news che hanno un’eccezionale capacità di presa perché forniscono una spiegazione semplice a problemi complessi. Mentre una crescente e inafferrabile distanza separa sempre più il Mezzogiorno dal resto d’Italia, si preferisce ‘inventare’ un nemico esterno, cattivo quanto basta, per addebitargli tutto ciò che siamo e non vorremmo essere.
“Il fantastico regno delle Due Sicilie – Breve catalogo delle imposture neoborboniche” affronta dunque uno dei nodi cruciali emergenti del revisionismo contemporaneo, ossia la riscrittura del Risorgimento in senso anti unitario, chiedendosi perché negli ultimi anni quelle che l’autore Pino Ippolito Armino definisce “autentiche fole neo borboniche”, siano diventate così di moda.
Ippolito Armino per spiegare il perché in 10 capitoli usa principalmente uno strumento: il piccone. Ed è un altro dei momenti forti della fortunata collana Fact Checking di Laterza, “La Storia alla prova dei fatti”, che dopo aver affrontato Resistenza, Foibe e ‘primati italici’, attacca frontalmente uno dei temi divisivi della memoria collettiva: l’Unità d’Italia vista da Sud.
Il “primo stato illuminato del mondo” non è mai esistito, è una fake news, ma alcune fake news ‘hanno una eccezionale capacità di presa, perché soddisfano un bisogno reale, quello di una spiegazione semplice a problemi complessi’, e nel caso specifico servono perché attribuiscono ‘ogni nostra insufficienza alla responsabilità di un nemico esterno, cattivo quanto basta per addebitargli tutto ciò che siamo e non vorremmo essere’.
Essere dei nostalgici dei Borboni, è la tesi di fondo, è una reazione alle condizioni attuali del centrosud, è una risposta ‘politica’ alle difficoltà attuali, di tipo ‘reazionario’, a cui il mito del Regno delle Due Sicilie presta una ideologia a raggio corto. Ricorrono temi come genocidio, inglesi, massoneria, Garibaldi, Mazzini, saccheggio, ricchezze mitiche e avanguardie industriali e progressi culturali: e ovviamente brigantaggio, con l’euclideo smontamento del parallelo con i partigiani della Resistenza. In questo capitolo c’è l’influsso determinante di un altro capitolo fondamentale della storiografia contemporanea, quello del libro di Carmine Pinto che nel suo recente ‘La guerra per il Mezzogiorno. “Italiani, borbonici e briganti. 1860-1870”, sempre per Laterza, nel 2019 aveva di fatto rimesso le cose a posto.
Ma Ippolito Armino fa anche un’operazione nuova: punta il dito sui protagonisti di questa offensiva culturale neo borbonica, li cita per nome e ne segue la genesi. Da Pino Aprile a Carlo Alianello, Antonio Ciano ed altri: sul caso del brigantaggio tronca il discorso dando una visione che ad alcuno di questi autori potrà anche non dispiacere.
Se ci fu una guerra civile tra italiani, e si vuole una paragone con le vicende post 8 settembre, una corrispondenza, allora ‘gli uomini di Salò, che si battevano per conservare il fascismo, fanno il paio con chi voleva mantenere in vita la monarchia più reazionaria d’Europa, mentre i partigiani che combattevano il regime fascista e aspiravano ad un nuovo ordine, libero e democratico, sono l’equivalente dei garibaldini che volevano abbattere la monarchia borbonica in favore di un regime liberale e costituzionale’.
Adattato dall’articolo di Luca Prosperi / Ansa
Foto di copertina: MuseoBorbonico – Own work, CC BY-SA 4.0,