Hunger Games, ballata dell’usignolo e del serpente: recensione
Dieci anni fa si chiudeva l’ultimo capitolo sul mondo di Hunger Games, conclusione di una trilogia più che fortunata, sia in libreria che al cinema, e inserita anche nella New York Times Besteller List. Questa saga ha riportato alla ribalta il genere distopico, sempre molto presente nella letteratura young adult, riuscendo a trasmettere l’integrità morale e la spinta alla rivolta che la protagonista, la giovane Katniss Everdeen (interpretata sul grande schermo da Jennifer Lawrence), impersona nel corso dei tre libri.
Suzanne Collins ci riporta a Panem, dove ritroviamo molti dei personaggi ben noti ai fan di Hunger Games, anche se la storia è ora ambientata una sessantina di anni prima delle gesta di Katniss. Il protagonista è Coriolanus Snow, colui che diventerà presidente di Panem e villain per eccellenza, freddo e calcolatore e così fascinosamente enigmatico. Un personaggio che nei precedenti libri ha sempre suscitato domande nei lettori e moltissime questioni irrisolte, rendendolo forse il personaggio più trascinante della saga.
È ora tempo di conoscere il suo passato, le sue origini e le sfide che ha superato per arrivare al potere totale. Capitol City non è la perla scintillante di tecnologia a cui eravamo abituati: una città certamente grande e di prestigio ma che porta i segni della guerra scatenata dai ribelli. Gli Hunger Games non sono ancora il reality show definitivo, ma solo un’arena in cui lasciare i tributi affinchè si uccidano a vicenda, secondo tradizione. Sta proprio a Coriolanus e ai suoi compagni di Accademia rendere gli Hunger Games quello che sono oggi: un evento capace di riunire l’intera Panem davanti agli schermi, coinvolgendo il pubblico e dando in pasto alle telecamere ogni aspetto dei giochi, dai momenti più toccanti ai più cruenti. E il giovane Snow non immaginava certo di entrare a far parte dell’arena in prima persona.
Il suo impegno in quanto studente e aspirante stratega non viene mai meno, anzi Coriolanus progetta ogni sua mossa con cura, per riportare la famiglia Snow ai fasti del passato, come merita e com’è scritto che sia. Pagina dopo pagina, assistiamo alla “crescita” di questo antieroe, capace di sentimenti veri e profondi ma capace anche di soffocarli per il bene del suo nome e di Panem; non senza errori, Coriolanus riesce nel suo intento, diventa ciò che era giusto diventare.
Ma la Collins non cede alla banalità di presentarci un personaggio piatto e totalmente cattivo: Snow è un ragazzo incredibilmente orgoglioso e “patriottico” ma è decisamente capace di amare. La storia d’amore affrontata in questo libro è una delle dinamiche più classiche e, forse proprio per questo, più coinvolgenti. Qualsiasi azione Snow compia, non rimaniamo mai spiazzati perché ogni sua scelta è estremamente logica e calcolata, rendendo ancora più inquietanti i risvolti che porteranno agli Hunger Games a cui abbiamo finora assistito.
Se ad una prima lettura ci sembra di viaggiare quasi su una linea temporale distante dagli altri libri e a tratti fin troppo a sé stante, cogliamo comunque diversi riferimenti all’universo narrativo già edito, e diventiamo quasi una specie nuova di lettore, semi-onnisciente, un veggente che conosce il futuro ma che deve riflettere e lavorare, guardare il quadro completo, per trovare quei nessi che legano i diversi giochi.
Non siamo più trascinati da una scrittura in prima persona; la Collins la abbandona per permetterci, forse, di essere si coinvolti ma abbastanza distaccati dal protagonista, per esaminarlo meglio e mettere in luce le sue lotte interiori. Questa scelta funziona, esattamente come tutti i cliffhangers a fine capitolo, così caratteristici di ogni “puntata” degli Hunger Games.
La suspence c’è, il trasporto emotivo è alto e la narrazione scorre rapidamente, eppure durante la lettura rimaniamo con il dubbio che questo nuovo-vecchio capitolo sia solo un espediente commerciale per approfittare dell’ondata di nuovi avidi lettori chiusi in casa dalla pandemia.
Pubblicato da Mondadori il 19 maggio 2020, è il fenomeno editoriale ideale per la riapertura delle librerie, prese d’assalto dopo il lockdown. Tutto quello che succede ci prende, ci affascina, non ci fa smettere di sfogliare le pagine e troviamo ovunque riferimenti al mondo già edito della Collins, ormai così ispirati a cogliere collegamenti e citazioni… ma è davvero così o è solo suggestione? Che ci sia altro?
La sensazione che si ha è che la storia di Coriolanus non sia finita, che ci siano ancora troppe cose importanti successe prima dell‘incontro con Katniss; troppo ampio il buco temporale tra questo capitolo e il primo Hunger Games (2009, Mondadori). E tutto ciò che leggiamo su Snow ci serve davvero per comprendere il presidente che poi diventerà? C’è senz’altro molto di cui veniamo a conoscenza, molti eventi che plasmano il personaggio a dovere. Ma Snow resta determinato e, seppur vacillando, non perde di vista il piano che ha per sé e per l’intera stirpe degli Snow, e farà di tutto per ristabilire il nome della sua famiglia. “Gli Snow si posano sempre in cima”.
Il verdetto finale, chiudendo il libro, è che sia senza dubbio una trama ricca e godibile, seppur molto più debole rispetto alle vicende della trilogia, ma che una buona percentuale di essa sia inutile alla costruzione dell’universo narrativo di Hunger Games; vengono suggerite molte informazioni e retroscena che forse meriterebbero uno sviluppo ulteriore piuttosto che un accenno in un solo libro, e al momento non ci sono notizie su ulteriori capitoli.
Ma alla fine di tutto, com’è giusto che sia, la suggestione è la fortuna madre della narrativa e se un solo libro è riuscito a scatenare tante connessioni e riflessioni, allora la storia ha funzionato.