La Los Angeles dannata degli Hollywood Vampires: storia della band nata nell’oscurità della città degli angeli
C’è un’altra Los Angeles di cui spesso non si parla, quella che al giallo accecante del sole, al bianco cristallino delle spiagge e ai colori sgargianti della sua movida, preferisce il nero opaco della notte, le luci soffuse dei club malfamati e vivere secondo orari da vampiri. Scenari cupi e selvaggi, animati e vissuti dai reietti ai margini della società. Quell’altra LA uscita da un film horror, volutamente nascosta agli occhi dello star system, libera di essere se stessa.
Se Las Vegas è la città del peccato, Los Angeles è la città dei sogni, della fama e della celebrità applicata al settore cinematografico. Quella Holyywood tentatrice ed esclusivista, fondamentalmente basata sull’omologazione e sul trend del momento. Le ambizioni di successo sul grande schermo possono essere tutt’al più controbilanciate da quelle sportive del basket. Los Angeles Lakers e Los Angeles Clippers, rispettivamente fratelli belli e fratelli brutti della stessa città, rappresentano l’alternativa alla carriera da attore. A LA o diventi parte del cosmo hollywoodiano o sogni di essere un cestista, magari il più forte e talentuoso per onorare la casacca del recentemente compianto Kobe Bryant.
In altre epoche, che ormai sembrano tanto remote, la ricerca della trasgressione affondava le sue radici lungo i 35 km della Sunset Boulevard, la strada più conosciuta della California, al tempo stracolma di locali per la musica dal vivo e frequentata da ogni ceffo possibile e immaginabile. Negli anni ’80 la gloriosa scena hard rock/aor ha dato i fasti a band come Guns n’Roses e Motley Crue, giusto per citare le due più famose, oppure a fenomeni della sei corde come il leggendario Randy Rhoads. Ma negli anni ’70, invece, il clima non era meno incandescente e perverso. Anzi.
Artisti come Elton John e Bruce Springsteen infiammavano le platee e riempivano gli stadi con show straordinari, Paul McCartney proseguiva la sua carriera solista, non sempre connotata da brani indimenticabili, i Led Zeppelin stabilivano nuovi record di affluenza ai loro concerti e i Black Sabbath gettavano le basi per una carriera che li avrebbe incensati come una tra le colonne portanti dell’heavy metal.
Alice Cooper, il principe delle tenebre, non restava a guardare. Nella decade ’70-’80 aveva pubblicato la bellezza di dieci album, tra cui i bellissimi “School’s Out”, “Billion Dollar Babies” e “Welcome To My Nightmare”. Un connubio di musica rock, glam e teatralità che lo aveva elevato incensato come uno tra i principali esponenti dello “shock rock”. I suoi erano uno spettacolo nello spettacolo. Non stupisce l’amicizia con Salvador Dalì, anch’egli artista folle, geniale e visionario.
Fu proprio lui a dare vita a quel gruppo di compagni di bevute e trasgressioni con cui era solito accompagnarsi. Un gruppo ristretto, quasi massonico, in cui non si poteva accedere se non a determinate condizioni. Esclusivista per natura, lontano da schemi e ordinarietà, Cooper scelse di fondare gli “Hollywood Vampires”, una perversa combriccola di vampiri d’alta classe composta da cantanti, musicisti e attori. E folli, un branco di folli che passavano intere nottate a drogarsi e ad alcolizzarsi, andare a puttane e fare casino fino al mattino scorrazzando sul Sunset Strip. La gente andava e veniva ma l’alcool c’era sempre, così come c’è sempre stata quella sottile linea che divide l’esagerazione dal suicidio.
La prima incarnazione del gruppo vedeva Keith Moon, batterista dei The Who morto per overdose nel 1978 all’età di trentadue anni, Ringo Starr, batterista dei The Beatles, Micky Dolenz, Harry Nilson e più sporadicamente John Lennon e Paul McCartney. Lo scopo era preciso, chiaro, inequivocabile: bere fino al collasso. Culla e residenza degli Hollywood Vampires era il Rainbow Bar.
Non solo musicisti, ma anche attori. Il più celebre fu senz’altro John Belushi, il Jake dei leggendari The Blues Brothers, il celebre Bluto di The Animal House, l’amato fratello di Jim. Un attore che con i suoi sguardi e la sua comicità ha segnato un’epoca. Tanto talentuoso quanto fragile. Morì il 5 marzo del 1982, a 33 anni, stroncato da una dose eccessiva di speedball, un tremendo mix di cocaina ed eroina. Stessa modalità di decesso di River Phoenix, giovanissimo attore in rampa di lancio, fratello di Joaquin, che non ebbe il tempo di scrivere la sua storia.
Anche Alice Cooper ha rischiato parecchie volte di fare a stessa fine. Celebre il suo racconto di quando disse di essere stato svegliato di soprassalto da un medico. Aveva vomitato sangue ed era svenuto. “Se vuoi raggiungere i tuoi amici, i tuoi Hollywood Vampires, ti do ancora un mese. Continua a fare quello che stai facendo e ti unirai a loro, ma hai ancora la possibilità di fermarti“. Da quel giorno i tempi sono cambiati.
Di acqua sotto i ponti ne è passata. Quelle scorribande suicide, estreme per definizione e volontariamente autolesioniste sono ormai alle spalle. Gli Hollywood Vampires, dopo la morte di alcuni componenti e il rischio di fare la stessa fine da parte di altri, ha allentato la sua morsa ma non la sua sete di musica. Nel 2010 il progetto ha ripreso piede, con nuovi componenti e nuove star. Su tutti, Joe Perry degli Aerosmith e Johnny Depp. Già, proprio il Jack Sparrow di Pirati dei Caraibi. Due che in quanto a eccessi, vizi e stravizi, follie e scorribande la sanno lunga. Ampiamente lunga.
Nel 2015 c’è stato il ritorno sulle scene. Un disco omonimo composto prevalentemente da cover. Non era questo l’obiettivo della band e infatti lo scorso anno c’è stato anche un disco di inediti, “Rise”, in cui Depp si cimenta anche in una cover di “Heroes”, tra le hit più amate di David Bowie. Un disco certamente non indimenticabile, ma apprezzabile per energia e voglia di divertimento. Perché alla fine questo è. Per dirla con Mick Jagger (un altro che ha venduto l’anima al Diavolo), “It’s only rock n’roll, but i like it“.
La forza della band è sempre stata quella dei concerti. A turno sono stati tantissimi gli ospiti che sono saliti con loro sul palco. Giusto per citarne alcuni: da Slash e Duff McKagan dei Guns n’Roses a Tom Morello dei Rage Against The Machine, da Geezer Butler dei Black Sabbath a Marilyn Manson, da Dave Grohl dei Foo Fighters a Steven Tyler degli Aerosmith. La mission non cambia, è sempre quella di diffondere il sacro verbo del rock n’roll. “Ho capito che è un buon periodo per il rock. Va a cicli e sta tornando a girare. La gente ne è affamata, infatti riusciamo a riempire ogni stadio e arena. Parlo di rock vero, non di Beyoncé”, ha dichiarato qualche anno fa Alice Cooper. Come dargli torto.