“Ho tanta voglia di far esplodere il mio spettacolo in teatro”: Giulia Nervi si racconta
Di talento ne ha da vendere, ma la simpatia è il suo forte. Giulia Nervi è un’artista eclettica che sa cantare, recitare, improvvisarsi ma anche immergersi nel magico mondo del burlesque. Classe 1984, Giulia Nervi si appassiona alla recitazione fin dalle scuole medie e colleziona nel corso degli anni importanti riconoscimenti e soddisfazioni. Insegnante di canto e dizione alla scuola del Teatro dell’Orologio di Roma, collabora come aiuto regista allo spettacolo “Figlie di Eva” con Mariagrazia Cucinotta, Michela Andreozzi e Vittoria Belvedere, ma negli ultimi tempi ha concentrato le sue energie sul secondo capitolo del one woman show “Tutto da sola“, con cui avrebbe dovuto debuttare lo scorso marzo.
Benvenuta Giulia! Come stai? Come stai trascorrendo questa chiusura forzata?
Cerco di tenermi impegnata, mi invento cose. Fare l’attrice ti allena ad avere dei periodi nella vita in cui sei a casa e ti chiedi “l’alternativa oggi è girarsi i pollici o buttarsi al fiume, che facciamo?”(ride ndr). A parte gli scherzi, già da adolescente spesso passavo i pomeriggi da sola perchè mia mamma lavorava, mia sorella più grande non c’era. Quindi finiti i compiti cercavo di riempire il tempo in maniera creativa. Non è una condizione totalmente nuova. Sono anche una cantante e oltre al progetto “Tutto da sola” ne ho uno parallelo in cui faccio delle cover, come se le cantassi a cappella, sostituendo tutte le parti strumentali con la voce. All’inizio mi sono dedicata a quello. Poi pian piano sono uscite delle piccole collaborazioni, alcuni lavori si sono riattivati in forma digitale. Quindi bene o male adesso ho la giornata organizzata!
Come nasce il tuo lato burlesque? Come mai ti avvicni a questo mondo?
Aspetta che ti passo Marty Maraschino (ride ndr)! Nell’ambito del burlesque tutte le performer hanno un nome d’arte che richiama nomi più vintage, come se fosse una sublimazione delle caratteristiche del personaggio che presentano. Ho conosciuto il burlesque grazie al Micca Club di Roma dove ho iniziato a lavorare circa 10 anni fa. Anche se ora la nostra collaborazione si è interrotta, ho continuato a lavorare anche all’estero. E’ un mondo che ho scoperto piano piano ed è meraviglioso perché in realtà è un luogo dove puoi fare tante cose. Recito, canto, ballo il tip tap. E’ uno di quei posti dove puoi creare qualcosa di assolutamente personale e distinguibile.
Ti senti più showgirl, cantante o attrice?
È una domanda alla quale non so rispondere! Io ho frequentato l’accademia “Silvio D’Amico” e gli insegnanti ci dicevano che dovevamo capire che tipo di attori volevamo diventare. Tra me e me mi chiedevo cosa volesse dire, poi ho capito che ci invitavano a trovare la nostra cifra ovvero quello che ci avrebbe reso diversi dagli altri, capire cosa ci appassionasse effettivamente di quel mestiere. Personalmente la cosa che mi interessa di più, a differenza ad esempio di uno scultore che lavora la creta o il marmo o un pittore che deve lavorare con la tela, un attore deve lavorare su se stesso e con se stesso. Quindi il mio obiettivo è sempre stato quello di spingere al massimo le mie potenzialità.
In fin dei conti si sei spinta oltre mettendo in scena uno spettacolo particolare, un one woman show. Come nasce “Tutto da sola”? Avresti dovuto debuttare anche con il secondo capitolo..
In effetti il debutto ci sarebbe stato pochissimi giorni dopo il lockdown! “Tutto da sola” (regia Massimiliano Vado ndr) nasce perché avevo tanto materiale accumulato da serate che avevo fatto in precedenza con amici artisti comici. Allora l’ho sfruttato e ho pensato di farci uno spettacolo. Cucendo insieme i pezzi ne sono nati altri, alcuni ne ho sostituiti e poi è nata l’idea di fare le musiche come se fossero registrate tutte a cappella. Il secondo capitolo non segue i personaggi che ci sono nel primo, ma lo segue da un punto di vista tematico. I grandi temi di cui parlo sono l’amore e la solitudine che secondo me vanno sempre di pari passo. Spesso può capitare che si cerchi l’amore per compensare la solitudine. La prima parte racconta cosa succede immediatamente dopo la fine di una storia molto importante ad una donna che conduce un programma televisivo sull’amore. Quindi si trova ingabbiata in questa situazione in cui l’amore della sua vita l’ha lasciata però per lavoro deve continuare a parlare di amore con tutti i telespettatori che le mandano messaggi e che legge anche abbastanza schifata. Il secondo capitolo invece racconta cosa vuol dire essere single superati i trent’anni e quindi doversi scontrare con una serie di convenzioni sociali, domande familiari, tinder e robe di questo genere
Quando pensi potrai andare in scena con il secondo capitolo di “Tutto da sola”?
Forse il 2040 potrebbe essere un buon anno! Facciamo cifra tonda!
Cosa pensi del momento che sta vivendo il teatro e lo spettacolo in piena emergenza coronavirus?
In questo momento, ritengo utile per tutti (lavoratori dello spettacolo e non) sforzarsi ad avere ancora un po’ di pazienza. Poiché lo spettacolo dal vivo, ahimè, proprio per le sue stesse caratteristiche, pone gli artisti ed i suoi fruitori in una grandissima condizione di rischio e pericolo di contagio, per cui penso che sia un atto di grande senso civico astenersi dal creare situazioni a rischio. Certo, se però poi lo stato si mobilita per trovare delle soluzioni per poter tornare a celebrare le messe e non considera affatto l’idea di attuare le stesse precauzioni per consentire gli spettacoli dal vivo, allora, personalmente, sento un po’ preso in giro il mio senso civico e la pazienza che sto cercando di esercitare. Ritengo che una mobilitazione compatta da parte di tutti i lavoratori dello spettacolo sia giusta e necessaria, non solo per ricevere al più presto disposizioni sulla riapertura di teatri e set cinematografici, ma soprattutto per richiedere allo stato un’attenzione ed un sostegno maggiore di quello che è stato in passato. Ciò su cui mi trovo fortemente in disaccordo però, sono le modalità adottate da alcuni miei colleghi per attirare l’attenzione delle istituzioni. Perché in alcuni casi, si rischia di puntare più l’attenzione verso il proprio ego ed il proprio malcontento personale, che non verso le reali problematiche con cui si sta scontrando e si scontra da sempre il nostro settore.
Secondo te si può fare teatro via web?
Non voglio fare l’anziana di turno, su questa cosa mi sto ancora interrogando e non ho ancora ottenuto una risposta valida. Posso dire però che non si può chiamare “teatro”, perché una delle cose più emozionanti, anche da un punto di vista performativo, è avere la gente presente in sala e recepire la sua energia. È una magia che nessuno e niente può sostituire. È come fare l’amore via webcam! Non si può! (ride ndr)
Cosa ti manca della normalità?
Sicuramente aver preparato uno spettacolo e poi non averlo potuto fare è stato alquanto pesante. A dire il vero mi ha anche bloccato la creatività, perché non sono riuscita a scrivere pezzi nuovi. Solo ora sto riuscendo a buttare giù qualcosa, proprio perché tutte le cose di cui volevo parlare erano in quello spettacolo. Non vedo l’ora di farlo esplodere. Poi mi manca ovviamente il contatto fisico con i miei amici. Ho proprio voglia di uscire e stare in mezzo alla gente, di andare a sentire un concerto o vedere uno spettacolo dal vivo!
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