Harry Potter e l’antica Roma, il legame passa dalla dea Speranza
Cosa accomuna l’antica Roma ed Harry Potter? Per scoprirlo bisogna andare a riprendere l’ottavo capitolo de “I doni della morte”, l’ultimo libro della saga di JK Rowling. I più pigri potranno riprendere il primo episodio dell’ultimo film ma perderanno sicuramente alcuni dialoghi che fanno ben capire questo legame tra due mondi apparentemente lontanissimi.
Il capitolo intitolato “Il matrimonio” è ambientato all’inizio della guerra contro Voldemort. Harry è ospite della famiglia Weasley e si appresta a partecipare al matrimonio tra Bill e Fleur (fratello e cognata di Ron). Il tutto il giorno dopo aver compiuto 17 anni ed essere diventato maggiorenne per la legge magica.
In molti si sono chiesti, aiutati anche dal film che non rispecchia propriamente le battute del libro, il perché di festeggiare un matrimonio durante una guerra. La Rowling probabilmente ha pensato il contrario. Perché no?
Un matrimonio è infatti simbolo di amore, di unione, di futuro. E anche di speranza. L’idea del matrimonio, di una festa, tra membri dell’Ordine della Fenice (l’organizzazione creata da Silente per combattere Voldemort) è proprio questa. Avere speranza per il futuro, rifiutare di rinunciare alla felicità. All’amore. Le armi più grandi che il preside di Hogwarts sosteneva potessero aiutare a sconfiggere il Signore Oscuro.
La celebrazione avvenne l’1 agosto del 1997. La coincidenza, non così casuale, è che nello stesso giorno i romani festeggiavano la dea Spes. La dea Speranza.
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La Spes romana era l’equivalente della Elpis greca, che si ritrova nel mito del vaso di Pandora di cui narrava anche Esopo nelle “Favole”. Il famoso vaso fu aperto per la troppa curiosità e “Così tutte le cose buone volarono via, librandosi al di sopra della terra, e Spes-Elpis (Speranza), era l’unica cosa rimasta. Quando il coperchio fu rimesso in vaso, Elpis rimase al suo interno. Questo è il motivo per cui Elpis da sola si trova ancora tra la gente, promettendo che lei conferirà a ciascuno di noi le cose buone che se ne sono andate via“.
È l’ultima dea alla quale l’uomo si rivolge. D’altronde la speranza è l’ultima a morire. E la Spes dei romani era quella a cui gli uomini si rivolgevano in occasioni di nuove nascite, per la fertilità, dei matrimoni.
A Roma aveva un tempio nel Foro Olitorio, d’epoca repubblicana, eretto durante la prima guerra punica dal console Aulo Attilio Calatino. Un altro sul Vicus Longus sull’Esquilino. La dea Spes, festeggiata appunto il 1° agosto con la festa del Templum Spei, riceveva in offerta primizie legate da nastri colorati. Ma anche libagioni e più raramente sacrifici di animali. Le statue a lei dedicate la rappresentavano con la mano destra intenta a tenere un mazzo di fiori, mentre quella sinistra un lembo di veste.
Sembra difficile credere al caso nella scelta della Rowling riguardo la data del matrimonio tra Bill e Fleur. Il settimo libro è quello in cui maggiormente lo sfondo narrativo si fa lugubre, pesante, pericoloso. Sono pochi gli attimi in cui i protagonisti possono ridere, rilassarsi, avere fiducia nella Vittoria. E la scrittrice decide appunto di inserire questa festa nel giorno dedicato alla Speranza.
Un mix di svago, felicità e ottimismo per il futuro vittorioso. Ma al tempo stesso implica l’unione della forze. Perché la speranza da sola può risultare vana. L’uomo deve infatti applicarsi affinché raggiunga i propri obiettivi sperati. Così facevano i romani, organizzando riti per la dea Spes unitamente ai propri sforzi nella vita e nella guerra. Così i personaggi di Harry Potter che non rimasero a sperare per un futuro radioso ma scelsero di sacrificare la propria vita per “il bene superiore”.