Grosso guaio a Chinatown: da flop al botteghino a cult imprescindibile degli anni ’80
Pochi, come Kurt Russell e John Carpenter, impersonano il concetto di culto anni ’80. Se l’immagine del primo è legata a doppio filo allo straordinario Jena Plissken, protagonista di “1997: Fuga da New York” (1981) e “Fuga da Los Angeles” (1996), pellicole mai troppo amate dagli appassionati della Settima Arte, quella del secondo è irrimediabilmente connessa a un certo universo horror capace di affascinare milioni di adolescenti e non solo.
I due, oltre ai film sopra citati, hanno collaborato anche in “Elvis, il re del rock” (1979), “La Cosa” (1982) e soprattutto “Grosso guaio a Chinatown” (1986), segnando un sodalizio artistico vincente e in grado di invecchiare bene, anzi benissimo. Cinque film imprescindibili per gli amanti di un certo cinema, impossibili da non apprezzare per stile cinematografico e per quantità industriale di aforismi al fulmicotone presenti.
Big Trouble in Little China, però non si presentò bene al grande pubblico, complice una campagna promozionale non impeccabile e lacunosa ma soprattutto inefficace. Flop al botteghino e critiche feroci e negative da parte dei mass-media, ma anche di gran parte del pubblico, non resero la vita facile al film.
Se negli USA uscì in sala il 1 Luglio del 1986, in Italia arrivò il 5 di settembre, rimanendo in proiezione per pochissimo tempo, proprio perché privo di quel piccolo particolare e requisito indispensabile chiamato “interesse da parte del pubblico”. Negli anni successivi sarebbe stato ampiamente rivalutato, ma in quei mesi il tracollo fu verticale che più verticale non si poté. Alcuni tra i critici più in voga in questi anni, come gli statunitensi Roger Elbert e Gene Siskel, non usarono mezze misure per definire “ridicoli” gli effetti speciali usati nella pellicola. Se la campagna marketing fu disastrosa, quella mediatica fu anche peggio, insomma. I soli 11 milioni di dollari di incasso solo lì a testimoniarlo…
Altro fattore non proprio secondario: nel 1986 uscirono altre pellicole che non solo ebbero immediato e grande successo ma che anche oggi, a distanza di 35 anni, conservano intatto il fascino dell’epoca. Film come “Stand By Me – ricordo di un’estate“, tratto dall’omonimo romanzo capolavoro di Stephen King, è come il buon vino che più invecchia e più diventa buono. Oppure “Top Gun” con un lanciatissimo Tom Cruise, “Il nome della Rosa” con Sean Connery, basato sull’omonimo romanzo di Umberto Eco, “Platoon” di Oliver Stone, “Highlander, l’ultimo immortale” con Christopher Lambert e le musiche dei Queen. Anche “Howard e il destino del mondo” e “Aliens, scontro finale” contribuirono a rendere il 1986 un’annata di rilievo per il cinema internazionale.
Probabile che “Grosso guaio a Chinatown” non fu compreso fino in fondo. Un film a lunghi tratti volutamente analogico e lontano dalle produzioni pompate dell’epoca (ricordiamo sempre che parliamo di 35 anni fa) non dovrebbe essere accusato di avere effetti speciali ridicoli se, in maniera del tutto palese e evidente, mirava discostarsi dal resto delle pellicole per lavoro registico e tone of voice. E poi, le precedenti collaborazioni tra Russell e Carpenter erano lì a dimostrare come lo spirito che animasse i due avesse un’identità ben precisa e marcata tale da rendere i loro lavori incredibilmente riconoscibili. Scusate se è poco.
Trentacinque anno dopo siamo ancora qui a esaltarlo e a farcelo piacere. Non sarà il migliore prodotto partorito dai due, non avrà una sceneggiatura impeccabile o chissà quanto originale, ma cavolo, godiamocelo per quello che è, cioè antonomasia del culto anni ’80 che tanto piace ai giovani d’oggi. Ma anche a noi, che con questi film ci siamo cresciuti.
“Brindiamo agli eserciti passati, e che gli eserciti futuri non debbano mai combattere“. Che bella frase, e quanto è attuale!