“Gli Anelli del Potere”: la recensione dei primi due episodi non adatta ai bacchettoni
Attese e polemiche. Aspettative e polemiche. Entusiasmo e polemiche. Debutto e polemiche. Record e polemiche.
Seguiranno spoiler
L’avvento, definiamolo tale, delle prime due puntate de “Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere” su Amazon Prime Video, è stato accompagnato da un’escalation di polemiche tanto stucchevoli quanto effimere e ridondanti. Alcune fondate, altre discutibili, altre aprioristiche strutturate su più livelli di pregiudizio. Queste ultime, va da sé, non meritano neanche considerazione. Negli ultimi giorni non si contano le tante condanne premeditate e le altrettante censure sorrette da un castello di carta, tanto da far pensare a un piacere fisico, quasi edonistico, nel recensire negativamente la serie fresca d’uscita.
Il perché, al netto delle singole, rispettabili, opinioni, è nascosto anche in quelle dinamiche sociali che bene abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni. Il web genera fenomeni di massa e dà adito a chi, in assenza di un proprio giudizio derivante da una sincera e critica analisi, e non riuscendo a generare un pensiero esterno a quello degli altri, si lascia trasportare dall’umore del gruppo.
Per farla breve: spesso non sa di cosa parla, si lancia in voli pindarici, tira in ballo concetti a casaccio, frasi estrapolate da chissà dove e rimandi a situazioni fuori contesto da quelle descritte. Insomma, un pasticcio tremendo.
Ed ecco, dunque, che la serie tv più costosa di tutti i tempi, non è immune da una scia di dibattiti al fulmicotone tra appassionati e fanatici, tra coloro che vogliono semplicemente godersela per quella che è e coloro che, invece, si sentono in dovere di trovare parallelismi con la saga cinematografica firmata da Peter Jackson, tirando in ballo il passato e una fantomatica aderenza di questa trilogia all’opera letteraria del professor Tolkien, tale da far pensare che, forse, non l’hanno vista accuratamente o, più probabile, non hanno mai letto Il Signore degli Anelli.
C’è, ovviamente, anche chi, dopo un accurato scrolling di post sui vari social network, improvvisamente rivela la sua natura di sceneggiatore o regista affermato di cui noi, purtroppo, non eravamo a conoscenza. Insomma, occorre provare a stigmatizzare quello che si sta verificando, ma ciò appare anche inevitabile quando si è in presenza di un’opera così divisiva che può contare su uno zoccolo duro di fan tra i più appassionati e fedeli ad aver mai camminato sulla superficie terrestre. Il reato di lesa maestà è dietro l’angolo e c’è chi non è disposto a perdonare nulla.
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Il debutto in Italia è avvenuto il 2 settembre, ed è stato accompagnato da numeri impressionanti: circa 25 milioni di utenti lo hanno visto nelle prime 24 ore. Su Amazon Prime Video nessuno ci era mai riuscito. Dati che, con i prossimi episodi, sono destinati ad aumentare. Al tempo stesso, però, “Gli Anelli del Potere” è stato oggetto di review bombing, come dicono quelli bravi. All’atto pratico: un’inondazione di recensioni negative atte a screditare la serie. Ciò ha costretto la piattaforma a correre ai ripari sospendendo la possibilità di inserire feedback per 72 ore e, cosa ancora più importante, per accertarsi che le recensioni inserite siano tutte reali. E qui la ghigliottina cadrà su troll, haters e varie modalità da fandom tossico.
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Se è vero, come è vero, che siamo in presenza di un fenomeno che nulla ha a che vedere con la serie, è altrettanto vero che la produzione ci ha messo del suo per attirarsi addosso delle polemiche pressoché inevitabili. Alcune scelte dettate dal politically correct ormai imperante (Dio ce ne scampi e liberi), e da soluzioni mirate ad accontentare la tanto esasperata, ed esasperante, inclusività, hanno alzato un polverone laddove non ve ne era bisogno. Perché Tolkien, nella sua magistrale opera, ha saputo descrivere in maniera impeccabile le caratteristiche degli abitanti della Terra di Mezzo, attribuendo loro un aspetto fisico, morale e psicologico, rivelandone idiomi, valori, modi di pensare e di vivere.
Una narrazione frutto di una visione ultraterrena della vita e della sua letteratura, sapientemente coniugata con rimandi teologici e storici ma anche con diversi riferimenti alle influenze delle letteratura inglese, tedesca, celtica e scandinava che aprivano a vari modelli di società e a diverse sfumature religiose. E’ stato il più inclusivo di tutti in un’epoca di profondi e controversi cambiamenti sociali. Più volte, infatti, era solito ripetere come le sue storie derivassero dalla ricerca di un appagamento personale poiché, nella letteratura di genere, non vi era niente in grado di soddisfarlo fino in fondo.
Tolkien ha saputo descrivere il razzismo senza citare il colore della pelle, le lotte di classe senza citare contratti collettivi di lavoro o indici finanziari, le fornaci del capitalismo senza tirare in ballo società più o meno globalizzate, l’uguaglianza senza parlare di Costituzione, le perversioni della politica senza citare i nomi di fine Ottocento, e potremmo proseguire con esempi ancora per molto.
Dunque, se un secolo fa Tolkien non ha ravvisato la necessità di scrivere del colore della pelle di una etnia, perché una produzione cinematografica dovrebbe far suo questo problema, ammesso che possa reputarsi tale?
Perché le logiche di mercato sono queste, il politicamente corretto è un parametro imprescindibile e perché il tema dei diritti civili ha invaso qualsiasi narrazione mainstream. Il rovescio della medaglia è quello di restare fuori dal giro che conta se non, addirittura, vedersi limitata e pregiudicata la propria attività. Business is business. Ma, così come vengono recepite, è allora giusto beccarsi anche la valanga di critiche di puristi e scettici, laddove sensate e razionali.
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L’errore da non commettere è però quello di approcciare alla visione de Gli Anelli del Potere con la mente stracolma di pregiudizi. Tutti abbiamo negli occhi la fortunata trilogia di Jackson e quella forzata, ma comunque riuscita, de Lo Hobbit, sempre del regista neozelandese. Tutti (o quasi) abbiamo letto Tolkien. Tutti, insomma, abbiamo aspettative altissime. A detta di chi scrive, questi primi due episodi le hanno in parte soddisfatte. Ma, altro aspetto che si deve tenere in considerazione è che si tratta di una trasposizione e che quindi fedeltà e aderenza all’opera originale possono subire variazioni per rispondere a esigenze stilistiche e di sceneggiatura. E’ da sempre così.
La trama e l’ambientazione ormai la conosciamo tutti ed evitiamo di ripeterla. Un dettaglio è però da tenere in considerazione: siamo nella Seconda Era, quindi un’Era prima dei fatti raccontati ne Il Signore degli Anelli. Sono eventi prodromici, precursivi, anticipatori. C’è un clima diverso, il male non è stato sconfitto, si sta rigenerando e Galadriel (Morfydd Clark), che ha cognizione di causa, è alla ricerca di certezze che lo provino. E’ lei, indubbiamente, il personaggio catalizzatore di attenzione in questi primi due episodi che ci portano alla scoperta di location e personaggi diversi rispetto a quelli già noti.
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Viaggiamo tra Lindon e le Montagne Nebbiose, verso Valinor ed entriamo nella Contea, la cui descrizione è più rurale e meno patinata di quella di Jackson, con una visione degli hobbit più contadina e meno romantica. Scopriamo i Pelopiedi, una delle tre razze di hobbit. Conosciamo Elrond (Robert Aramayo), più smaliziato, gioviale e positivo rispetto a quello interpretato da Hugo Weaving, e scopriamo anche chi ha forgiato i mitici anelli. La stessa Galadriel è diversa da quella interpretata da Cate Blanchett. Qui troviamo una guerriera, una donna determinata che non ha paura di sporcarsi le mani ed è mossa da spirito di vendetta, mentre quella interpretata dalla Blanchett era stanca, gravata dal peso delle responsabilità e dall’oppressione dei popoli della Terra di Mezzo operata dall’Oscuro Signore.
Abbiamo visto le Miniere di Moria spopolate, buie e fredde, la civiltà dei nani annientata, la tomba di Balin profanata e il ponte di Khazad-dûm parzialmente distrutto da un Balrog di Morgoth nello scontro con Gandalf. Qui, invece, entriamo dentro la città dei nani, li vediamo nel loro massimo splendore, ammiriamo la loro arte e la loro capacità architettonica di edificare. E’ uno spettacolo per gli occhi. C’è il divertente e fondamentale incontro tra Elrond e Durin (ancora prima di quello tra Legolas e Gimli). Godiamone appieno, su.
Quindi, perché fare paragoni? Siamo nella Seconda Era, con un’altra storia e con tutt’altri dettami narrativi. Abbiamo conosciuto il post, adesso stiamo scoprendo il pre. E’ un salto indietro nell’universo tolkeniano che necessita di una visione distante rispetto a quella descritta nei precedenti lungometraggi che, inevitabilmente, rappresentano un metro di paragone difficilissimo da scrollarsi di dosso. Ma va fatto, altrimenti non si gode appieno di una storia avvincente e bene descritta, egregiamente supportata da un lavoro di regia pulito, senza sbavature anche se ruffiano (tante le inquadrature e le scelte di camera che richiamano alla mente il lavoro di Jackson). La colonna sonora e la fotografia sono valori aggiunti che consentono di immergerci nelle atmosfere della Terra di Mezzo e di empatizzare con la scena del momento, giusto per citare altri due aspetti.
Siamo agli inizi, a soli due episodi. Prima di dare un giudizio aspettiamo di vedere le altre puntate per valutare il lavoro nella sua globalità ma, nel frattempo, godiamocelo. Facciamoci questo favore.