Gli Aborym svelano Hostile: “Per la prima volta abbiamo scritto il disco da band”
Il 12 febbraio 2021, i nostrani Aborym pubblicheranno Hostile, il loro ottavo album per Dead Seed Productions. Attiva da quasi trent’anni, la band industrial metal ha segnato un’importante solco nel panorama musicale italiano. Questa nuova fatica è certamente il lavoro più complesso ed ambizioso per i nostri. I ben noti elementi noise, rock, industrial ed elettronici, si arricchiscono ulteriormente, dando vita ad un’atmosfera psichedelica in cui la musica gioca un ruolo di assoluto dominio.
Il tutto accompagnato dall’inossidabile vocalist e frontman Fabrizio Giannese, in arte Fabban, al quale abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda in merito. Con lui, ad approfondire insieme il background di Hostile, il batterista Gianluca “Kata” Catalani. A loro i nostri ringraziamenti e a voi tutti una buona lettura!
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Il 12 febbraio pubblicherete “Hostile”, il vostro nuovissimo album. Cosa potete dirci a riguardo? Sarà un lavoro differente rispetto ai precedenti?
Fab: Preferirei che la gente lo ascoltasse e traesse le proprie conclusioni piuttosto che indirizzarla verso un punto di vista che sarebbe di parte. Quando leggo interviste di gruppi che si autocelebrano mi cadono le palle per terra. Lo trovo poco serio. Il 12 Febbraio verrà pubblicato un nuovo disco degli Aborym, l’ottavo ufficiale, e quando esce un nuovo album non sai mai cosa può succedere. Se verrà capito, se verrà apprezzato o demolito dalla critica… Di certo non vediamo l’ora di poterlo condividere con tutti.
È un disco che ha richiesto due anni di lavoro tra scrittura, pre-produzione, registrazioni, arrangiamenti e post produzione. Ci siamo trovati nell’ esplosione della pandemia proprio quando mancavano le voci su tre brani. Ho inserito le parti vocali in pieno lockdown e poi abbiamo dovuto modificare i nostri piani mixando il disco da remoto, tutti collegati via internet. Ci siamo affidati ad Andrea Corvo, il nostro consolidato sound engineer che ci segue sin dalle prime demo. Ha fatto un lavoro superbo. Dopo la morte di Guido Elmi, producer di Vasco Rossi che ha lavorato con noi su SHIFTING.negative, abbiamo affidato la produzione di Hostile a Keith Hillebrandt, che forse qualcuno ricorda per aver lavorato, tra gli altri, con Nine Inch Nails e David Bowie. Keith ha letteralmente elevato il livello, e per noi era un obiettivo essenziale. Siamo ottimi amici da un po’ di anni ormai e lavorare con un guru di quel calibro è come comprare una Maserati a scatola chiusa.
Com’è nato il disco? Volete parlarci del processo di songwriting?
Fab: Per la prima volta nell’arco di quasi trent’anni abbiamo scritto il disco da band, che per definizione è una combo di vari elementi. Ho finalmente avuto modo di lavorare con musicisti professionali, nonché ottimi amici. Ormai suoniamo da un po’ di anni e ci conosciamo molto bene. Siamo polistrumentisti, ognuno sa cosa fare, e il disco è nato dalle mani di tutti. In passato invece scrivevo tutto da solo. Purtroppo mi sono trovato a lavorare con gente che mi farciva il cervello di promesse e proclami, per poi ritrovarmi a constatare che i fatti erano zero. Ho dovuto chiudere le porte a tanti fattucchieri purtroppo.
Ora sembra che le cose funzionino in modo molto organico. Innanzitutto non c’è più un compositore principale, e ognuno ha lavorato molto sugli arrangiamenti. Siamo partiti da lontano, mettendo le mani su alcune demo. In due anni abbiamo smontato e rimontato tutto fino ad ottenere circa una ventina di canzoni in pre-produzione. Keith ha poi definito quali voleva registrassimo -che poi sono quelle presenti nel disco- e nella sequenza da lui delineata.
Abbiamo un metodo di lavoro abbastanza trasversale in fase di songwriting. In alcuni casi i brani nascono dalle idee di chitarra di Tommy o sono stati costruiti sul basso. In altri partiamo da un testo e dalle metriche di voce, oppure iniziamo a montare direttamente su sistema modulare o midi su un sequencer. Il processo è schizofrenico, tutto muta e si evolve: i pezzi suonano in un modo e due mesi dopo vengono completamente smembrati e riassemblati diversamente. Una singola canzone ha avuto mesi di gestazione. Credo che per fare musica a certi livelli il tempo giochi un ruolo fondamentale, così come la conoscenza degli strumenti, l’applicazione e lo studio di ciò che non si conosce bene. Siamo tutti decisamente “nerd” in questo.
Kata: Abbiamo iniziato in modo del tutto spontaneo. Eravamo reduci da alcuni concerti in giro per l’Europa e Fab aveva già parecchie idee in cantiere. Abbiamo iniziato a scambiarci file e a lavorarci su in totale autonomia, essendo ognuno attrezzato con il proprio home studio. È stata una vera macchina: i brani uscivano uno dopo l’altro ed erano tutti validissimi. Una vera magia. Abbiamo poi inviato tutto a Keith il quale ci ha dato degli ottimi consigli su come migliorare alcune parti e quali secondo lui fossero i brani più forti. Sai, l’orecchio esterno del producer è veramente prezioso e ti fa rendere conto di cose di cui non avresti mai immaginato. Leggo spesso da parte di sedicenti criticoni musicali della domenica (soprattutto nell’ambito della musica estrema) che le band si fanno scegliere i brani dal produttore limitandone la libertà artistica. Ecco, inviterei gli stessi a studiare come funzionano le cose prima di blaterare.
Nel corso degli anni il vostro sound si è evoluto arricchendosi sempre di nuovi elementi. Ciò è dovuto ad un bagaglio culturale maggiore o alla necessità di dire di più con la vostra musica?
Kata: Direi entrambe le cose. Col passare degli anni si acquisiscono sempre più nuove competenze, si fa esperienza e nel nostro caso, essendo dei veri e propri nerd dei nostri strumenti, investiamo tanto tempo e soldi per acquistare ed imparare a padroneggiare nuove macchine. Nel caso di Fab l’ambiente dei synth modulari, nel mio caso l’integrazione dell’elettronica nella batteria acustica tradizionale etc. Tutto questo fa si che il nostro sound si evolva sempre album dopo album, caratteristica poi che è sempre stata una costante negli Aborym.
Fab: È il DNA di questa band e delle persone che ne fanno parte. Non è un lavoro per noi. Non dobbiamo prostituirci artisticamente per gonfiare le tasche di qualche discografico e di conseguenza facciamo come vogliamo. Suoniamo ciò che ci fa bene suonare, come se la musica fosse un medicinale per lenire il dolore. Per noi esiste solo questo.
Qual è, per voi, quell’elemento che funge da marchio di fabbrica degli Aborym?
Kata: A mio avviso la sperimentazione, il voler continuamente cambiare pelle senza piegarsi mai alla logica dei generi musicali. Facciamo sempre quello che ci passa per la testa, non ci interessano le mode né stiamo ad inseguire ciò che “funziona” e che quindi fa vendere. Siamo coscienti che se gli Aborym riprendessero in mano la macchina che erano 20 anni fa noi tutti ne trarremmo un beneficio economico enorme. Ma non avrebbe alcun senso. Diffidiamo sempre delle band che fanno uscire dischi tutti uguali. Non posso credere che a 50 anni qualcuno si senta ed agisca come quando ne aveva 20. Capisci cosa voglio dire? A mio avviso la curiosità e la voglia di mettersi in discussione è la base dell’essere creativi.
Fab: Siamo agitatori stilistici (ride, n.d.r.). Mettiamo sempre in difficoltà chi deve scrivere di noi, recensire un nostro disco o la nostra fanbase. I generi musicali li creiamo e li modifichiamo, per poi divertirci a leggere le varie classificazioni che la gente tenta di fare con la musica, non solo con la nostra. È divertente, quanto inutile. Ma tant’è.
Il periodo di quarantena è stato in qualche modo utile per conoscervi meglio durante la lavorazione al nuovo album?
Kata: È stato difficile ma di contro anche molto motivante. L’inizio della quarantena ha coinciso esattamente con l’inizio delle sessioni di mixing dell’album. I primi tempi c’è stato un momento di sconforto perché era chiaro che sarebbe slittato tutto rispetto al planning originale. Ci siamo armati quindi di spirito di abnegazione e siamo riusciti (facendo i salti mortali) a portare tutto a termine, oltretutto con risultati ben al di sopra delle aspettative. Questo sicuramente ci ha resi più forti e coesi di prima, nonché più sicuri dei nostri mezzi.
Fab: Il lockdown, come dicevo prima, ha rallentato la nostra tabella di marcia e abbiamo dovuto modificare i nostri piani. Anche ora siamo in quarantena e stiamo subendo una serie di rallentamenti per via delle restrizioni dei vari DPCM, che rispettiamo tutti. Lo scorso week-end ad esempio non abbiamo potuto fare prove. Inizia a snervarmi tutto questo. Il disco era previsto per il 2020 ed è già tanto che stia uscendo a febbraio 2021. Per mesi e mesi il mondo ha smesso di funzionare e tutt’ora che siamo a gennaio non mi pare che le cose stiano tornando alla normalità.
Ad ogni modo il lockdown non è certo servito per conoscerci meglio. A me ha solo fatto capire che, in fondo, non è cambiato molto nelle persone intorno. Sono sempre stato parecchio distante dalla gente. Sto bene con la mia famiglia, con gli altri della band e con pochi amici. Sono in “distanziamento sociale” dal 1990 circa. Non uso il termine “misantropia” perché non sono un misantropo e queste cazzate le lascio agli adoratori di Satana e al black metal.
Sono uno che meno persone ha intorno e meglio si sente. E non credo molto a ciò che spesso leggo sui giornali, del tipo “questo virus ha avvicinato le persone” o “le persone dopo il covid saranno migliori” e cazzate del genere. Credo esattamente nel contrario. Con la differenza che quando la pandemia sarà finita la gente, oltre che peggiorata a livello sociale, sarà anche incazzata e avrà fame. In molti saranno con le pezze al culo. Mi auguro solo che in tutto questo enorme caos quel pupazzo di Renzi non faccia cadere il governo. Non vorrei ritrovarmi in piena pandemia con Salvini, Berlusconi e la Meloni alla guida. Sarebbe come avere dieci Trump tutti insieme. E non ho nessuna voglia di vaccinarmi facendomi bucare con una dose di disinfettante.
Come pensate sarà tornare in tournée dopo questo blocco mondiale? Avete già in mente un piano per sponsorizzare il disco?
Fab: Al momento no. Per ora ci concentriamo sulle prove dei brani di questo disco, restrizioni e DPCM permettendo, e su una setlist. Siamo già al lavoro su nuove tracce ma non abbiamo idea di quando sarà possibile anche solo iniziare a parlare di concerti. Spero di sbagliarmi, ma credo che il 2021 non sarà poi così diverso dal 2020. Spero davvero di sbagliarmi! Nel frattempo cerchiamo tutti di rispettare le regole, di stare a distanza di sicurezza, di usare quelle cazzo di mascherine, di lavarci spesso le mani e, soprattutto, vacciniamoci quando sarà il nostro turno.
Kata: È prematuro ora parlare di tournée. Come tutti sappiamo bisogna navigare a vista. L’obiettivo adesso è promuovere l’album nel migliore dei modi e nel frattempo lavoreremo affinché possa essere suonato anche live non appena ci sarà di nuovo un barlume di normalità. Di certo tornare a calcare un palco dopo una situazione come questa sarà ancor più stimolante. Speriamo di ritrovarci presto di persona proprio durante un concerto.