Recensione (con spoiler): “Il Gladiatore II”, tra storia e finzione di un film che non convince
Era il 2000 quando Russel Crowe, nei panni di Massimo Decimo Meridio, entrava di diritto nella storia del cinema. Diretto da Ridley Scott “Il Gladiatore” vinse cinque premi Oscar grazie anche ad un cast stellare che poteva annoverare attori del calibro di Joaquin Phoenix, Connie Nielsen, Richard Harris e Oliver Reed. Un colossal che, anche a ventiquattro anni di distanza dalla sua uscita sul grande schermo, rimane tra i più apprezzati nel genere e non solo, portando con sé delle battute ormai definibili storiche e lasciando in eredità alcune scene tanto emozionanti quanto iconiche. Ad aggiungere quel x-factor in più sulla pellicola, almeno per noi italiani, fu il doppiaggio di Luca Ward, voce italiana di Crowe, cioè del gladiatore soprannominato l’Ispanico.
Dal “Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del Nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell’unico vero imperatore Marco Aurelio. Padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa, e avrò la mia vendetta, in questa vita o nell’altra” all’ancor più iconico “Roma ha vinto!“, l’hype dietro dichiarazioni non ha perso nulla dal suo debutto in sala, compreso l’oramai leggendario “al mio segnale, scatenate l’inferno“.
Un ripasso degli errori più importanti
Già dal sopracitato soprannome, “Ispanico”, ci si accorge di alcuni errori di matrice storica del film. In quell’epoca, intorno al 180 d.C., la Spagna non esisteva ancora come concetto. Sarebbe stato più opportuno chiamarlo l’Iberico. Ma non fu l’unico errore di Scott e degli sceneggiatori. Dall’età di Marco Aurelio, in realtà molto più giovane, fino alla sua morte, avvenuta probabilmente per la peste (portata dall’esercito romano di ritorno dalle campagne contro i Parti) e non per mano di Commodo. Quest’ultimo, inoltre, morì in una congiura e non all’interno del Colosseo. Oltre a questi anche altri, come per esempio le balestre, armi inventate nel Medioevo, serpenti sudamericani non ancora conosciuti, la presenza dell’Arco di Costantino e della Basilica di Massenzio, edificati non prima del IV secolo.
Il sequel: 16 anni dopo
Uscito ieri in Italia, il Gladiatore II riprende la storia 16 anni dopo la morte di Massimo e Marco Aurelio. Protagonista è un altro personaggio inventato: Lucio, che ora si fa chiamare Annone (interpretato da Paul Mescal), figlio di Lucilla e nipote di Marco Aurelio, ridotto in schiavitù in Numidia da dove, sulle orme del suo eroe protagonista del primo film, parte per combattere contro gli imperatori Caracalla (Fred Hechinger) e Geta (Joseph Quinn) e avere la sua vendetta “in questa vita o nell’altra”. Ma sopratutto contro il generale Acacio, nuovo compagno della madre. Una vendetta, più che altro, contro quella Roma che l’ha dimenticato e che nella sua assenza è diventata più degradata che mai. Almeno così la dipinge, abbastanza fuori contesto storico, Scott.
Già qui si ha un primo elemento di incongruenza storica: nella realtà Lucilla non ebbe figli. Ma anche la location è sbagliata. Si parla con inesattezza della Numidia, quale ultimo territorio libero dell’Africa Nova. Ma essendo ambientato circa nel 200 d.C. tale regione era stata conquistata almeno 150 anni prima da Cesare dopo aver sconfitto Pompeo e il suo alleato, re locale, Giuba.
Per non parlare della presenza della stessa Lucilla (interpretata ancora da Connie Nielsen), di cui ci parlano soprattutto Svetonio e Cassio Dione, che sarebbe morta tra il 182 e il 183.
La nuova produzione di Ridley Scott, rispetto al primo capitolo, sembra molto meno accurata storicamente: manca del tutto la figura di Settimio Severo, capostipite dei Severi, e che stando alla fonte primaria per eccellenza di quel periodo, “Historia Augusta”, sarebbe dovuto essere lui l’Imperatore. Non Caracalla, né tantomeno da suo fratello Geta, assassinato proprio per impedire una diarchia (che durò al massimo per pochi mesi e nel 211 d.C.).
Ma l’errore che ha sicuramente incendiato gli animi dei detrattori della pellicola riguarda la figura di Macrino, interpretato da Denzel Washington. Le polemiche riguardano il colore della pelle dell’attore. Bisogna premettere che il personaggio, una sorta di novello Proximo (mercante di schiavi del primo Gladiatore) non è realmente esistito ma prende comunque spunto dalla personalità del Macrino che nel 217 d.C. salì sullo scranno imperiale per poco più di un anno. Nella pellicola è un ex schiavo di Marco Aurelio che tenta una scalata al potere mettendosi a capo di una sorta di congiura.
Costui, nella realtà, proveniva da una famiglia di origine equestre trasferitasi a Cesarea, e nacque in Algeria. Di sicuro non aveva i chiari tratti somatici dell’Europa centrale e probabilmente aveva una carnagione più scura di un qualsiasi imperatore Mediterraneo descritto da Svetonio nella “Vita dei dodici Cesari”. Ma risulta anche difficile pensare che fosse di un’etnia subsahariana (come la star holliwoodyana), in quanto all’epoca i romani avevano sì già attraversato alcune volte il deserto, per arrivare nell’attuale Niger e Ciad, ma il numero di schiavi che probabilmente riportarono era stato sicuramente ridotto e non così considerevole da pensare che alcuni di loro potessero risultare demograficamente influenzanti.
Del resto stando a quanto descritto da Livio e Polibio, in particolare alla mancanza di sottolineature riguardo il colore della pelle di popoli come i Cartaginesi e i Numidi, fa pensare che le coste del Nord Africa fossero orientativamente popolate da gruppi sociali pressoché simili ai Romani mediterranei.
Scott ha dimostrato più e più volte, anche con “Napoleon” e “Le Crociate”, di non prestare troppa attenzione a determinati dettagli storici, fregandosene delle critiche. Critiche che oggi, più che su una forma di razzismo, si basano su una contestazione del politicamente corretto a cui il regista britannico si sarebbe piegato, inserendo forzatamente un attore afroamericano in nome dell’inclusività, anche laddove le fonti storiche sembrano essere abbastanza chiare al riguardo. Nonostante le numerose inesattezze storiche (molte di più rispetto al primo capitolo) la pellicola lascia un po’ di amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere.
Attenzione spoiler nell’ultima riga!
Manca quasi del tutto il pathos che ha caratterizzato il Gladiatore di Crowe. Non c’è epicità neanche nelle scene fondamentali, come quelle finali nell’unione ideale tra il ritrovato nipote di Marco Aurelio, i Pretoriani e l’esercito romano. Sembra più un remake che un sequel. Lo si vede dai gesti, dagli sguardi, dalle frasi. Quando Annone nel Colosseo (chiamato impropriamente tempio da Macrino) pianta il gladio e raccoglie la terra richiama in tutto e per tutto Massimo Decimo Meridio. Così come quando Caracalla sorride malefico divertito durante i combattimenti gladiatori ricorda la famosa sequenza di Commodo impersonato da Joaquin Phoenix.
Scott gioca anche qui con la figura del generale-gladiatore-ribelle all’Imperatore. Stavolta però divide la figura e non la racchiude in una sola persona. Lo stesso Acacio sembra una figura maledetta, in contrasto con se stesso. Quasi pentito di alcune scelte e che cova una rabbia che non riesce ad esplodere per cambiare Roma.
Una Roma, quella de “Il Gladiatore II”, troppo forzata. Sembra si voglia obbligatoriamente far passare i romani per sanguinari crudeli, dediti solo ai ludi e alla guerra. Come nel caso del fuoco sui cadaveri dopo aver bruciato la città conquistata ad inizio film (cosa antistorica perché tendenzialmente i Romani evitavano di bruciare città nelle quali poi avevano intenzione di insediarsi). Così come nella figura degli imperatori Caracalla e Geta dipinti come folli e malati mentali, in particolare il primo. Dato, questo, che nelle fonti ufficiali si fa difficoltà a rintracciare e ritenere veritiero al 100%. La rivisitazione storica scottiana va troppo oltre, rendendo patetici i romani ed eroi a prescindere i gladiatori. Dimenticando però gran parte della cultura e dell’essere Romano imperiale.
C’è un tentativo di richiamo storico nella minaccia di damnatio memoriae che Caracalla fa al generale ribelle. In realtà fu ciò che attuò nei confronti di suo fratello Geta.
SPOILER: Lucilla rivela a Lucio/Annone che suo padre era Massimo Decimo Meridio.