Giuliano, l’imperatore odiato dai cristiani
Dopo Catilina, Nerone e Caligola, non poteva mancare un ricordo di un altro personaggio che la storiografia e la vulgata hanno dipinto come negativo. L’Imperatore Giuliano, detto l’Apostata.
Passato alla storia come l’Anticristo apocalittico in quanto particolarmente avverso alla Chiesa. Il Medioevo, epoca sostanzialmente permeata da valori religiosi cristiani, ha fornito un ritratto destinato alla damnatio memoriae.
Imperatore, filosofo, guerriero. Morì a soli 32 anni, dopo aver regnato per circa 20 mesi lasciando un segno profondo sulla direzione imperiale e spirituale. Era il 26 giugno del 363.
Perì sul campo di battaglia, durante la guerra contro i Sasanidi a Maranga, dimostrando di essere un vero Cesare. Ciò, però, non gli garantì un apprezzamento dai suoi successori che, anzi, nulla fecero per vendicarne la morte. A tal proposito il retore Libanio di Antiochia narrò la leggenda secondo cui l’imperatore Flavio Valente fu ucciso dalla dea Nemesi. Costei era infatti la dea dei delitti rimasti impuniti.
I suoi detrattori invece videro sulla sua morte la mano della giustizia divina. In questo caso fu l’intervento di San Mercurio di Cappadocia, su ordine della Vergine Maria, a porre fine alla vita dell’imperatore Giuliano. Una morte da vero Anticristo, con il santo in versione Arcangelo Michele.
Giuliano tra odio ed esaltazione
Questo fu solo l’inizio del prezzo da pagare ai cristiani che ne demonizzarono, per secoli, la figura. Addirittura secondo uno storico statunitense, Glen Warren Bowersock, il fallimento della sua politica sarebbe da imputare ai senatori e alle classi dirigenti romane che lo sabotarono in quanto fortemente cristianizzate.
Il Medioevo, come detto, non fece altro che marcare questa presa di posizione verso l’imperatore che decise di rinnegare il sacramento del battesimo ricevuto da bambino. Per questo fu detto l’Apostata, con accezione negativa. Giuliano riscoprì gli antichi culti romani. Per i pagani fu il restauratore del mos maiorum. Dal suo retroterra neoplatonico recuperò le figure degli Dei etnarchi, quelle divinità protettrici dei popoli.
“Il demiurgo è comune padre e re di tutti quanti, mentre le restanti funzioni sono state da lui assegnate a Dèi etnarchi dei popoli e protettori di città (ethnàrkais kai poliùkois teoìs), ciascuno dei quali governa in conformità con se stesso la parte che ha avuto in sorte”. Così scrisse nell’opera “Contro i Galilei”. Così, con disprezzo, chiamava i cristiani.
Fu un uomo dal forte carattere, intelligente e determinato, tanto che la sua figura fu riabilita fortemente durante l’Illuminismo settecentesco. Voltaire stesso vide in Giuliano il solo in grado di sintetizzare le personalità e le capacità di Catone il Censore, di Cesare, di Scipione l’Africano e Marco Aurelio.
Nell’Ottocento in particolare i romantici non videro in lui un imperatore apprezzabile. Infatti il suo essere avverso ai cristiani gli costò, presso di loro, la rappresentazione di un despota anticlericale e materialista tipico dei canoni ideali del ‘700. Tutto ciò contro cui il Romanticismo si poneva in antitesi.
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Ma nello stesso secolo Giuliano, detto erroneamente l’Apostata, fu anche apprezzato assurgendo a simbolo di patriottismo. Un politico che dedicò la sua attività, nonché la vita, alla lotta contro il mondo definito “barbaro” (anche su questa definizione bisognerebbe fare un approfondimento ma non è questo il momento).
Per Giuliano il buon cittadino romano, così come un legislatore degno, era colui che rimaneva fedele al proprio archetipo. Colui che rimane devoto all’Etnarca. Nella difesa di tale visione di un impero politico e spirituale, Flavio Claudio Giuliano non esitò ad andare contro quello che era il “mondialismo” del suo tempo, annullatore delle specificità e delle tradizioni.