Gaber e Leopardi, quel legame intorno alla moda
Ogni scrittore, di qualsiasi epoca, ha nella propria produzione quelle che vengono classificate “opere minori”. Non sono esenti da ciò Giorgio Gaber e Giacomo Leopardi. Bisogna, infatti, andare a scavare bene nei loro testi per trovare qualcosa che li leghi. È il caso di “Quando è moda è moda” per il signor G. Mentre per il poeta di Recanati il riferimento sono le “Operette morali”.
Quest’ultima era una raccolta di dialoghi e novelle, in parte ironici, scritti tra il 1824 e il 1832. Proprio nel primo anno di produzione Leopardi compose il dialogo “Dialogo della Moda e della Morte”.
Nell’anticonformismo si incrociano le strade dei due uomini. Nell’idea di avversità alle mode. Per Leopardi, infatti, Moda e Morte sono sorelle. Figlie della caducità, immortali. Compagne di quei tempi, tutt’altro che positivi per il poeta. Anni in cui l’uomo si appropinqua alla società consumista e industriale. Schiavo di mode e lontano sempre di più dai valori che lo renderebbero vivo. La Moda, per lo scrittore, è creatrice di tendenze che conducono l’uomo alla morte. Grazie alla moda la società è più morta che viva.
“Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l’amore che mi portano”. (Operette morali, Dialogo della Moda e della Morte)
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Giorgio Gaber nella sua “Quando è moda è moda” parte proprio da questo assunto. Dal rifiuto della convenzione, del pensiero unico. Dal doversi omologare per non rimanere isolato. Il cantautore milanese, anche criticato quando presentava il brano, decise con questo pezzo di spiazzare tutti. Da destra a sinistra. Anche, e soprattutto, coloro che pensavano di essere come lui. Coloro che pensavano di essere delle “facce giuste”, ma che in realtà erano come tutti gli altri. E tanto lontani da Gaber stesso.
“Mi ricordo la mia meraviglia e forse l’allegria
Di guardare a quei pochi che rinunciavano a tutto
Mi ricordo certi atteggiamenti e certe facce giuste
Che si univano in un’ondata che rifiuta e che resiste”.
Queste stesse facce, però, poi si rivelano figlie della stessa moda. Della stessa convenzionalità.
“E visti alla distanza non siete poi tanto diversi
Dai piccolo-borghesi che offrono champagne e fanno i generosi
Che sanno divertirsi e fanno la fortuna e la vergogna
Dei litorali più sperduti e delle grandi spiagge
Della Sardegna.
Quando è moda è moda, quando è moda è moda”.
L’uomo che parte incendiario e muore pompiere. Lo stesso individuo che inizialmente si pone in antitesi con il padrone, con il borghese, per poi farsi assorbire dai suoi stili, dai suoi vizi. Dalle sue mode. La canzone è una crescente critica a chi si fa assimilare dal Sistema, nonostante abbia gridato a più riprese di volerlo cambiare, distruggere.
Gaber, insieme a Luporini, si allontana da tutti i movimenti degli anni ’70. Rimane in piedi tra le rovine, a costo di andare da solo. Leopardi, con i discorsi ironici tra Moda e Morte, sottolinea ancora una volta come preferisca rimanere ancorato alle sue Tradizioni, ai suoi valori, anziché piegarsi alle mode, sorelle della morte. Quelle mode responsabili, anche loro, della caducità dei tempi e della deriva della società.
Schivi alle masse e avversi alle mode. In questa direzione (“ostinata e contraria” cantò Faber) si sono incrociate le strade di Giorgio Gaber e Giacomo Leopardi.