L’intervista a Germano Di Mattia, un artista a tutto tondo
Germano Di Mattia è un attore, regista, cantante, autore e sceneggiatore nato ad Avezzano (AQ). Ha vissuto la prima infanzia in Venezuela ma è cresciuto a Cerchio (AQ). Dopo tante esperienze internazionali al fianco di grandi artisti tra cui Michel Piccoli, Penelope Cruz, Nicolas Cage e Asia Argento, nel primo weekend di settembre è tornato a Cerchio per esibirsi per la prima volta davanti ai suoi compaesani: un ritorno a casa ricco di emozioni.
Dopo quasi venti anni, lo scorso sabato 4 settembre in occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna delle Grazie, hai omaggiato Cerchio cantando per la prima volta in live la tua “Ave Maria”. Ci racconti come è nata questa canzone e che effetto fa cantare in live a casa?
La canzone è nata per i titoli di coda del mediometraggio “La leggenda del Lago Fucino” di cui sono autore, sceneggiatore insieme a mia sorella Michela e anche attore. Essendo un’autoproduzione completamente indipendente, abbiamo fatto tutto in famiglia (in cui per fortuna siamo un po’ tutti artisti). Scrissi la canzone perché volevo qualcosa di inedito, di fresco, di “scritto per”. Era il 2003, poco prima del bicentenario della Madonna delle Grazie, e ricordo che Don Giovanni Nucci ne rimase molto colpito. Non l’ho mai fatta uscire discograficamente perché volevo che fosse proprio un dono per Cerchio. La gente si è affezionata al punto che ora la canzone non è più mia. E questa cosa è molto bella perché quando l’ho scritta, l’ho fatto con il cuore, pensando al cuore della mia gente che omaggiava la Madonna.
Cantare a casa è più difficile che farlo davanti a stranieri o persino in un festival: c’è molta più emozione ad esibirsi davanti alla gente che ti ha visto crescere, nel posto in cui ti conoscono come essere umano e non come artista. E forse anche le critiche possono essere più feroci. Però, da quel che mi hanno riferito, sembra che sia andata bene, che forse con la melodia e con il mio discorso sono riuscito a gettare un seme.
Il tuo successo e la tua popolarità nascono con la partecipazione alla serie televisiva “Teneramente Licia” al fianco di Cristina D’Avena. Era il 1987 ma oggi sei ancora riconosciuto come il Jim dei Bee Hive da chi era adolescente in quegli anni. Come la vivi?
Io la vivo bene e se oggi mi dovessero chiamare Jim di certo non mi offenderei! Però non reagivo così quando avevo vent’anni e tornando a Cerchio mi guardavano storto pensando che mi fossi montato la testa. Io, come tanti, avevo dei sogni e li volevo realizzare. Ho ricevuto critiche però ho cercato di non dar loro troppo peso. All’epoca lavoravo a Milano come fotomodello pubblicitario o facendo serate come cantante. Infatti quando feci il provino per “Teneramente Licia” mi ero presentato per cantare e invece mi dissero che cercavano un bassista. Io sapevo suonare solo le tastiere ma il regista Francesco Vicario mi disse letteralmente “Sei un tipo strano (avevo un look molto dark) “ma hai una faccia che funziona”.
Mise della musica e io mi divertii mimando un chitarrista rock. Lui mi avrebbe preso subito invece la responsabile delle trasmissioni dei ragazzi, Alessandra Valeri Manera, era molto titubante per il mio stile. Dopo un paio di mesi invece mi chiamarono per sostituire Marco Bellavia, scelto per essere il bassista dei Bee Hive. Però il mio personaggio, che non era quello dei cartoni animati, ebbe successo per cui mi confermarono anche per le altre serie proprio insieme a Marco, con cui è nata una di quelle amicizie che durano una vita.
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Attore, cantante e regista.. insomma un artista a tutto tondo che può vantare successi internazionali e collaborazioni con artisti di alto calibro. Qual è l’esperienza artistica più importante per te?
Non lo dico mai ma questa volta voglio farlo: sono stato il pupillo di Ivan Graziani. Era il mio padrino da un punto di vista musicale, ho studiato nella sua scuola a Teramo e mi voleva produrre, ma si ammalò e se ne andò molto prematuramente. Perciò poi il mio percorso di cantante prese un’altra strada.
Finora ho sperimentato quello che più mi piaceva: il cinema, la musica, la sceneggiatura e la regia. Ci metto molto impegno perché caratterialmente non sono un perfezionista ma nel lavoro sì. Dico sempre che la mia esperienza più importante è quella che devo ancora fare. Però ammetto ho avuto la fortuna di lavorare con dei grandissimi professionisti, star del cinema mondiale e registi importanti, soprattutto non italiani. Questo mi ha portato a vedere le cose anche non solo finalizzate all’Italia e a scoprire lo showbusiness negli altri Paesi. Un esempio: ho lavorato con Michel Piccoli e mi meravigliai quando una star così grande venne a bussare alla mia roulotte per augurarmi buon lavoro. Proprio lavorando con francesi, inglesi e americani ho capito che per far funzionare un film è fondamentale il coro, l’armonia e l’insieme del lavoro di tutti, dai costumisti, agli attori, sceneggiatori, truccatori, musicisti e tecnici.
Come dicevo, il mio lavoro più importante sarà sempre il prossimo. Guardo al passato affinché la storia mi indichi il cammino e mi insegni, ma mai con nostalgia. Sono più proiettato verso il futuro e cerco intanto di vivere il presente, di stare qua in questo momento.
E quindi la domanda sorge spontanea: progetti per il futuro?
Di progetti ne ho tantissimi… In questo tempo di fermo, non sono rimasto con le mani in mano. Ho studiato molto e scritto per cui mi piacerebbe pubblicare un’antologia di racconti legati anche a questo periodo, che è servito molto a farci vedere dentro e anche a farci vedere fuori. Perché questo virus rende visibile ciò che non è visibile: forse prima portavamo più maschere, invece adesso almeno io vedo le cose un po’ più come davvero sono. Poi ho iniziato una collaborazione con una bravissima sceneggiatrice di Milano con cui sto scrivendo un fantasy: non anticipo molto, ma posso dire che è destinato ai ragazzi e che spero di poterlo produrre come una serie o come una trilogia. Inoltre sto anche riprendendo l’attività di cantante con piccoli concerti in cui mi riproporrò con un repertorio molto particolare. Insomma progetti a non finire!
di Sara Paneccasio