Lasciate in pace Gaetano Bresci
Il nome di Gaetano Bresci, solitamente, fa drizzare i peli sulle braccia di benpensanti, borghesi e politicamente corretti. Il più delle volte per mancanza di conoscenza storica e per adesione quasi dogmatica ai sussidiari propinati durante il percorso di studio elementare.
Lungi da chi scrive fare un’apologia dell’anarchico che il 22 luglio del 1900 uccise re Umberto I a Monza. Ma leggere sui social e su alcuni siti di giornali il nome di Bresci in relazione alla pantomima avvenuta in Senato nei giorni scorsi, è veramente un’associazione antistorica. Il ragazzo del Liceo Righi ha fatto una bravata sicuramente evitabile. Il gesto della pistola è figlio sicuramente di una politica dell’anti che viene perpetrata ad ogni latitudine.
Il sentimento anti-qualcosa esprime una puerilità intrinseca di chi rifiuta di argomentare con chi la pensa diversamente, proponendo solo un muro contro muro. Un “no” ad ogni costo.
E se la politica ad alti livelli esprime questo modus operandi non c’è da stupirsi che i ragazzi più giovani assorbano come spugne, non essendo in grado di capire che andare in un luogo istituzionale come Palazzo Madama e fare il gesto della pistola contro il presidente del Consiglio è solo stupido. Pericoloso molto poco. Più per lo studente, che sicuramente avrà subito lavate di testa, note disciplinari ecc, che per Giorgia Meloni.
Leggi anche “Guercino e il mestiere del pittore: la rivoluzionaria mostra ai Musei Reali di Torino”
Non si tratta, difatti, di un novello Gaetano Bresci, personaggio controverso che in un modo o nell’altro ha segnato il XX secolo italiano. Un’altra epoca, altri valori, un altro mondo. Ma anche un altro modo di dare valore alla vita. Propria e degli altri.
L’Italia era ancora un paese giovane, l’unità si era risolta quasi del tutto circa 30 anni prima. L’obiettivo della politica era formare gli italiani in tutto e per tutto. Ma il sentimento di repulsione verso la monarchia fu sottovalutato. Le masse popolari furono per anni sottomesse e vessate dalle forze reazionarie e dall’esercito agli ordini del Re. Come nel famoso caso di Bava-Beccaris nel 1898 che diede ordine di sparare sulla folla che protestava per l’aumento del costo della vita. Il risultato fu di 80 morti e 450 feriti e il generale fu insignito da Umberto I della “Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia”.
Uno smacco che Gaetano Bresci, emigrato negli Usa, non poté sopportare. Decise allora di compiere la sua vendetta. Sacrificare se stesso, la sua libertà per uccidere il Re. Non in quanto uomo. Ma in quanto simbolo di un’idea: «Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio».
La modalità del suo canto del cigno sono sicuramente deprecabili, l’assassinio non è certo la soluzione ad un male. Ma il contesto storico di inizio ‘900 non può certo essere tralasciato. Come non si può dunque parlare di novello Bresci per il ragazzo del Righi.
Da una parte la volontà di liberare l’Italia e il suo popolo da una politica che affamava il popolo da oltre 30 anni. Dall’altro un gesto più mitomane che altro. Di chi pensa che tutto sia concesso, senza provare a guadagnarselo. Diventando l’eroe di una parte politica dell’anti.