Fred Buscaglione, Buddy Holly, Ritchie Valens: quel tragico destino chiamato 3 febbraio
Quando il destino si mette di traverso è capace di tessere trame imprevedibili e spietate. Ne sanno qualcosa John Lennon e Dimebag Darrell, destinatari di un’uscita di scena fin troppo incredibile per coincidenze e modalità. Strade apparentemente separate, incrociatesi un qualsiasi 8 dicembre a causa di anomalie di quel sistema chiamato “vita” che ci ha privati di due tra i più straordinari musicisti che il rispettivo genere di appartenenza abbia mai vantato.
Fred Buscaglione, Buddy Holly, Ritchie Valens saranno per sempre giovani e avranno eternamente un conto aperto col destino. Il loro talento, la loro classe, la loro irriverenza, non hanno avuto il tempo di invecchiare. Anche in questo caso, quella componente delle nostre esistenze che corrisponde al nome, appunto, di destino, ha giocato un brutto scherzo. Anche qui una data: 3 febbraio. Anni diversi, modalità diverse, legati, però, da un qualsiasi numero sul calendario.
Ferdinando “Fred” Buscaglione la musica, e in particolare lo swing, lo aveva nel sangue. Autore di brani che hanno influenzato stili e costumi dell’epoca, come “Eri Piccola”, “Guarda che Luna”, “Buonasera Signorina”, il nativo di Torino trovò la morte a Roma, la sera del 3 febbraio 1960. Solo pochi mesi prima aveva dichiarato “ancora un paio di anni e mi ritirerò dalle scene“. Alfiere tricolore del sogno americano nell’immediato dopoguerra, contribuì a risollevare l’umore del popolo italiano prima del boom economico che travolse la società.
Il “paisà“, come veniva affettuosamente chiamato da colleghi e amici a stelle e strisce, diede colore alla musica italiana. Sorriso malizioso, sguardo da “piacione”, look preso in prestito dalla scena musicale newyorkese, sigaro stretto a lato della bocca, un vero artista dell’entertainment. Precursore di uno stile che in molti avrebbe copiato e emulato senza mai riuscire veramente nell’intento, Fred è stato un lampo di luce negli anni ’50 italiani.
Una carriera lanciata dall’inevitabile gavetta all’interno di balere e live club. Un sogno inarrestabile che non ha smesso di ardere neanche nel momento in cui, a causa della chiamata alla armi, fu spedito in Sardegna. Anche lì, tra i commilitoni, non smise di indossare i panni dell’istrionico artista che tutti abbiamo avuto modi di conoscere e apprezzare.
E proprio di ritorno da un’esibizione capitolina, trovò la morte. Era la sera del 3 febbraio 1960 e, dopo uno show frizzante e coinvolgente, Buscaglione si mise alla guida della sua decappotabile Ford Thunderbid colore lillà, per andare a concludere la serata nel modo che meglio conosceva: divertendosi, prima di rientrare in hotel. All’albergo, però, non arrivò mai. Fatale lo schianto contro un camion, inutile la corsa all’ospedale. Aveva 39 anni, una carriera di successo alle spalle e un futuro che non ebbe mai la possibilità di vivere.
Esattamente come Buddy Holly e Ritchie Valens. Un anno prima della morte del musicista italiano, avevano rispettivamente ventidue e diciassette anni. Protagonisti indiscussi del rock n’roll americano, loro malgrado furono attori protagonisti anche de “Il giorno in cui la musica morì” (The Day that Music Died). A distanza di sessantuno anni dalla loro morte, questa rimane tutt’ora avvolta da punti interrogativi, tanto da alimentarne il mito.
Holly e Valens, giovani e belli, talentuosi e di prospettiva, colonne portanti degli anni d’oro del rock n’roll a stelle e strisce. Buddy e Ritchie, autori di brani immortali come “Peggy Sue”, Everyday”, “Oh, Boy”, “La Bamba”, “Come on Let’s og”, “Donna”; hit che anche oggi, a distanza di decenni, continuano a fare emozionare e scatenare tutti gli amanti del genere.
La loro vita, e la loro carriera, si interruppero drammaticamente il 3 febbraio del 1959 dopo uno show a Clear Lake, nello Stato dell’Iowa. L’autobus che avrebbe dovuto portali a Fargo, nel North Dakota, non era funzionante, era fuori uso e quindi indisponibile. Fu Holly a insistere per prendere un piccolo aereo. Non arrivarono mai a destinazione. Il mezzo precipitò nei campi innevati dello Iowa, pochi minuti dopo il decollo. A bordo con i due c’erano il pilota Roger Peterson (21 anni) e J.P. “The Big Bopper” Richardson (28 anni).
Sul velivolo avrebbe dovuto, o potuto, esserci anche il chitarrista Tommy Allsup ma, non essendoci sufficienti posti a bordo, affidò alla sorte il proprio destino. Lui e Valens lanciarono una monetina: testa per l’uno, croce per l’altro. Fu il fato, solo ed esclusivamente lui, a far salire il diciassettenne Ritchie su quell’aereo. Waylon Jennings, batterista di Holly, poté raccontare lo stesso. Dopo lo show di quella sera ebbe un malore e decise di non partire per recarsi dal medico. Al suo posto, sull’aereo, salì Richardson.
La prima ricostruzione attribuì al maltempo le cause dell’incidente ma, indagini più approfondite e circostanziali portano a scoprire come il pilota non avesse un’importante esperienza di volo e, molto probabilmente, neanche l’autorizzazione al decollo da parte della torre di osservazione. I corpi delle due rockstar furono ritrovati la mattina successiva a diversi metri dallo schianto del mezzo.
Cinque anni fa l’inchiesta fu parzialmente riaperta. Come rivelò la National Transportation Safety Board, un’agenzia d’investigazione indipendente affiliata al Governo degli USA, svelò che sul luogo del disastro, precisamente sul sedile del pilota, venne ritrovato un foro di proiettile. Il calibro era riconducile a una pistola di proprietà di Holly che riemerse dal luogo del disastro. Questa aveva un colpo mancante. Il resto è storia, la verità ancora non emerge e a restare impressa è solo una terribile data: 3 febbraio.