L’intervista a Francesca Innocenzi, autrice del libro “Canto del vuoto cavo”
A tu per tu con l’autrice Francesca Innocenzi per presentare la sua ultima fatica poetica “Canto del vuoto cavo”, una plaquette di 60 componimenti brevi che adottano la metrica dello haiku e delle sue varianti. Una tecnica molto originale che nasconde al suo interno tematiche attinenti alle realtà umane; il vuoto, centro semantico del componimento, si profila come opportunità bivalente tra mancanza e opportunità.
Ciao Francesca, prima di parlare della sua nuova pubblicazione conosciamoci meglio, chi è Francesca Innocenzi?
Buonasera e grazie alla redazione per il tempo dedicatomi in questa intervista perché lo spazio è molto importante al fine di consentire la giusta opportunità di espressione, in una società che fagocita momenti e non lascia vuoti.
Nella vita sono un’insegnante di scuole superiori e scrivo da sempre, praticamente da quando ero bambina, spaziando dalla poesia alla prosa. Ho pubblicato diverse raccolte di poesia, anche nell’ambito della narrativa con racconti e romanzi brevi, di cui uno in uscita. Amo molto il teatro, un’altra grande passione iniziata un po’ più tardi.
Da cosa deriva questa sua propensione alla scrittura? Quali sono i suoi riferimenti letterari?
Ho sempre saputo di voler scrivere. Sicuramente lo stimolo primario è da attribuirsi a mio padre, insegnante, che spesso sentivo parlare di Leopardi e di altri autori. La scrittura mi ha sempre accompagnato nella crescita, seppur in maniera discontinua perché non mi sono dedicata a questa attività sempre allo stesso modo, però direi che è stata una compagna di viaggia che mi ha aiutato a conoscermi meglio e a ritrovare me stessa. Io credo che un percorso artistico, attraverso tutti i generi possibili, sia innanzitutto un percorso di autoconoscenza e solo dopo di avvicinamento agli altri.
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Lei ha mai scritto opere biografiche?
Devo dire che sicuramente mi sono lasciata ispirare da avvenimenti della mia, non ho mai scritto opere autobiografiche in senso stretto. La vita è stata per me una fonte di ispirazione ma in senso molto libero. Ho sempre cercato di guardare oltre, bisogna stare attenti a non cadere nelle trappole dell’ego, dell’io. Non è detto che un’opera biografica sia egoica però bisogna essere dei grandi scrittori, non è così semplice e non è da tutti.
La sua silloge poetica s’intitola “canto dal vuoto cavo”, questo vuoto come nasce? E a cosa si riferisce?
Il vuoto è il fulcro della silloge ed ha un doppio senso perché di solito siamo abituati ad attribuire a questo termine una valenza negativa, come mancanza, come lacuna e sicuramente mi riferisco anche a quello. Mi piace pensarlo, però, anche in accezione positiva, quindi come spazio fertile per nuove idee, come una sorta di caos da cui, poi, può nascere qualcosa. Vuoto nel senso di origine.
La metrica della sua opera è molto particolare, può spiegarcela?
Certamente. Ho utilizzato la metrica dell’haiku che è una poesia giapponese, composta di soli tre versi per ogni componimento che sono rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe. Io utilizzo prevalentemente il doppio haiku quindi i versi diventano 6 per ogni poesia. Quello che mi preme sottolineare è che, nel mio caso, si tratta solo di metrica, perché non rispetto le altre regole di contenuto, assai ferree, dell’haiku che si focalizza sulle regole stagionali, della natura. A me interessa la realtà umana e quindi della società in generale. Quindi, la metrica in questo mio componimento è un contenitore per parlare poi di altro.
Tornando al concetto di vuoto. Come può un vuoto, che nell’immaginario collettivo va ad associarsi al nulla, essere un tutto, un punto di partenza? Soprattutto se pensiamo alla società in cui viviamo, così liquida e che non ammette spazi vuoti.
Penso che proprio per questo il vuoto possa essere prezioso. Credo anche, mi riferisco anche a temi presenti nella silloge, che i tempi recenti che tutti noi abbiamo vissuto tra lockdown e pandemia, siano stati uno spunto per aiutarci a guardare la nostra vita in una prospettiva diversa, fermarsi, saper apprezzare delle cose che tendiamo a dare per scontato. Comprendere anche che la libertà non è fare tutto quello che si vuole ma coltivare l’interiorità, essere liberi di instaurare un rapporto con noi stessi. Un contatto interiore con la nostra dimensione intima.
A chi sente di consigliare la lettura del suo lavoro?
Sinceramente sento di consigliarla a tutti. La poesia serve ad avvicinarsi a se stessi, è uno spazio per andare oltre quel modo di comunicare cui siamo abituati, forse assuefatti dal linguaggio del social, dei media, in cui tutto è veloce ma privo di simbolo. L’interpretazione è molto importante, dare un giusto valore alle parole, ai simboli. La poesia può essere questo, può farci riscoprire la valenza della metafora, anche per le nuove generazioni abituate ad un linguaggio assolutamente profano.