Filiberto Ciaglia: scrivere (e fare) la “Storia di Collarmele”
In un’epoca in cui il fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi e l’esigenza dei giovani di recarsi all’estero per studio e lavoro sono sempre più marcati, chi ama il proprio paese e cerca di valorizzare i luoghi che lo hanno visto diventare chi è oggi rappresenta una quasi commuovente eccezione. Questo rappresenta Filiberto Ciaglia, classe 1994 e dottorando in Geografia storica presso l’Università La Sapienza, che da anni si attiva per la rivalorizzazione dei paesi dell’Abruzzo interno attraverso le più svariate iniziative.
Lo scorso marzo Filiberto Ciaglia ha pubblicato il libro “Storia di Collarmele” (Edizioni Kirke, con prefazione del Prof. Antonio Socciarelli). Domenica 14 novembre si è tenuta una presentazione presso il caffè letterario “Artè” di Pescina, cui a breve seguiranno altri incontri nella Marsica per la promozione del libro, presentato anche al “Festival delle Periferie” (Roma, 21-22-23 maggio 2021).
L’INTERVISTA
Parliamo del tuo ultimo libro: “Storia di Collarmele”
La ricerca è, di fatto, il coronamento di un lavoro iniziato nel 2017 e interviene in un contesto territoriale caratterizzato dalla mancanza di studi storici relativi al periodo presismico, così come in altre località marsicane. L’obiettivo è stato quello di restituire uno spaccato della storia territoriale d’epoca moderna, vale a dire dal XV secolo al XIX secolo, concludendo la trattazione proprio al 13 gennaio 1915. La ricerca unisce le fonti manoscritte d’archivio -più di 40 e tutte inedite- provenienti dall’Archivio di Stato di L’Aquila, dall’Archivio storico diocesano dei Marsi e dall’Archivio privato Marinacci, con un utilizzo delle fonti a stampa d’epoca moderna e della cartografia storica. Il libro tocca diverse linee di ricerca, da quelle relative alla sismicità storica alla storia sociale, dallo studio del tessuto urbano perduto attraverso la cartografia storica all’indagine diacronica del rapporto tra uomo e ambiente, tenendo sempre conto del fatto che un paese rappresenta sia il suo mondo che la connessione con i territori limitrofi. Le sue vicissitudini risentono, dunque, di fattori d’influenza specificatamente territoriali e del riflesso di avvenimenti nazionali e internazionali. La stesura, inoltre, è volta a intraprendere un percorso di progressiva ripresa degli studi più generali sulla Marsica Vicereale. Sul nostro territorio, in effetti, risulta ancora troppo esigua la letteratura relativa all’epoca moderna.
Ci spieghi la copertina? Come mai hai scelto proprio quel dettaglio e quei colori?
Ho scelto un particolare dell’affresco relativo alla Madonna delle Grazie sito nell’omonima chiesa rinascimentale. Mi ha colpito perché vengono rappresentati gli abitanti in preghiera al cospetto della Madonna, che sovrasta la popolazione. Poiché la popolazione incarna il fulcro della ricerca, mi è sembrato emblematico riservare la copertina ai volti “senza nome” dell’affresco del 1580.
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Come nasce la tua passione?
È sempre difficile rispondere a questa domanda. Per quanto mi riguarda però, più passano gli anni e più si è facilitati nel rispondere, perché si finisce per comprendere guardando all’indietro come si è stratificato l’interesse. Certamente le passeggiate in montagna con mio padre fin da quando ero bambino e l’osservazione delle rovine custodite da altopiani e valli della nostra regione sono state uno dei punti di partenza.
Con quale scopo hai deciso di dedicare la tua vita alla storia?
Credo che la storia – e in particolare il mio settore disciplinare accademico, vale a dire la geografia storica – sia essenziale nella rivalutazione dei luoghi e nella scoperta dei paesaggi, del “senso dei luoghi“, come afferma l’antropologo Vito Teti; dunque non solo riconsegna e ricomposizione critica della memoria di un dato territorio, ma anche apporto funzionale alla sua valorizzazione. In questo senso, il lavoro su Collarmele si sta rivelando funzionale ai lavori di riqualificazione del centro storico (che ho l’opportunità di svolgere da consigliere comunale), in primo luogo per quel che concerne le scoperte relative all’antico tessuto urbano e poi per quanto riguarda il passato religioso e culturale dell’università feudale. Questo conferma quanto la trasversalità disciplinare sia essenziale nelle politiche territoriali.
Il rapporto tra le nuove generazioni e la storia diventa sempre più qualcosa di asettico, che difficilmente esce dai libri di scuola… Cosa si può fare per risvegliare un interesse per la storia nei più giovani?
Scindere la cronologia dalla storia, prima di tutto. Nelle scuole si tende a insegnare la materia propinando elenchi infiniti di date e avvenimenti, talvolta saltando a pié pari una spiegazione minima dei nessi tra le vicende. Questa è cronologia e la cronologia è un supporto della storia, ma non coincide con quest’ultima. Se si intraprendesse un cammino volto all’insegnamento della disciplina storica come consapevolezza del mondo, spiegando agli studenti – perché no, quando possibile proprio nei luoghi oggetto di uno specifico avvenimento – che la disciplina permette a ognuno di noi di leggere le dinamiche territoriali di ogni angolo del pianeta e di avere la coscienza critica per problematizzare il presente sulla base di quanto appreso, gli iscritti nelle facoltà di storia aumenterebbero senza ombra di dubbio.
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Da anni sei impegnato nella rivalorizzazione dei piccoli paesi e sei l’ideatore del Festival dei Giovani dell’Appennino. Ce ne parli?
Sebbene sembri distaccarsi da quanto detto, il festival è strettamente legato alla storia dei luoghi. Un primo passo per rivalutare i luoghi che abitiamo e combatterne la spersonalizzazione è proprio quello di riscoprire la loro ricchezza semantica. I centri storici abruzzesi raccontano una stratificazione territoriale che, in mancanza di terremoti, è rimasta immobile e testimonia l’avvicendarsi delle diverse epoche tra i loro vicoli e nelle loro piazze. 700 è il numero che assomma castelli, fortezze e città fortificate in Abruzzo. Si tratta di un patrimonio che, in molti casi, risulta vittima di incuria e trascuratezza. La tutela e lo studio del patrimonio storico, unito alle altre battaglie volte in qualche modo a riorientare lo sviluppo territoriale dell’entroterra abruzzese e a combattere lo spopolamento, rappresentano le basi essenziali delle nuove progettualità che “noi giovani dell’Appennino” dobbiamo elaborare, unendo tradizione e innovazione. È una sfida complessa e il Festival dei Giovani dell’Appennino vuol rappresentare lo spazio fisico e simbolico di un modo nuovo di dialogare. Nuovo poiché per la prima volta abbiamo fatto in modo che i ragazzi e le ragazze dei paesi si riunissero, tutti, in una stessa piazza per ragionare insieme.
Progetti per il futuro?
Ho iniziato da poco un dottorato in Geografia Storica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con un progetto riguardante il rapporto tra L’Aquila e il contado tra XV secolo e XVIII secolo, focalizzando l’attenzione sui disastri sismici d’epoca moderna. Parallelamente, lavoro come consigliere comunale a Collarmele con una delega alla riqualificazione del centro storico, e sto iniziando con gli altri componenti della squadra a progettare la seconda edizione del festival nel 2022. Per il futuro, spero di accrescere sempre più le competenze di ricerca e di dare un contributo sostanziale agli studi storici della nostra regione e di altri contesti territoriali che saranno approfonditi. Nell’immediato, tornando al libro in esame, sono in programma altre due presentazioni per il mese di dicembre: la prima a Celano, presso la Chiesa della Madonna del Carmine, il 19 dicembre e la seconda presso il comune di Avezzano il 20 dicembre.