Festa del Cinema di Roma. “Zucchero – Sugar Fornaciari” si confessa
“Zucchero – Sugar Fornaciari” è il film realizzato da Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano, presentato in anteprima alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma.
I registi e lo stesso Zucchero avevano da subito in mente una linea ben precisa per raccontare l’immensa storia del re del blues italiano: non un docufilm celebrativo ma un racconto in cui ci fosse tanto Adelmo quanto Zucchero.
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Il film documentario racconta lo straordinario artista attraverso le sue parole e quelle di colleghi e amici come Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Andrea Bocelli, Salmo, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Roberto Baggio, Jack Savoretti, Don Was, Randy Jackson e Corrado Rustici.
Un viaggio dell’anima che in 100 minuti, grazie a immagini provenienti dagli archivi privati di Zucchero e dal “World Wild Tour” (il suo ultimo e trionfale tour mondiale), va oltre il ritratto di un musicista di successo arrivando fin dentro i dubbi e le fragilità dell’uomo.
Si parte dall’infanzia a Roncocesi con i nonni e la genesi del brano Diamante per cui Zucchero manda una versione in finto inglese a De Gregori chiedendogli di scrivere il testo per lui che altrimenti sarebbe caduto nel patetico perché troppo coinvolto.
Zucchero vive la provincia emiliana “un po’ alla Don Camillo e Peppone”: tra la cooperativa del Partito Comunista e la chiesa di Don Tagliatella, chiamato così perché pasciuto. In quella chiesa il determinato Adelmo cresce suonando l’organo “perché era l’unico modo per imparare uno strumento senza pagare“. Ma non limitava certo al repertorio liturgico: poteva esercitarsi su canzoni alternative se avesse fatto il chierichetto. Commenta in conferenza stampa: “Sono cresciuto così: tra sacro e profano. E ancora non ho capito di quale faccio parte“.
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Si ripercorrono gli esordi: per dieci anni a Zucchero veniva detto che il genere che voleva fare e la sua voce non avrebbero mai funzionato in Italia. Ma dopo il primo Castrocaro e Sanremo nel 1982 in cui “mi volevano vestito da ragazzo per bene e con una voce il più pulita possibile” la svolta della sua carriera arriva con il successo di Donne, classificatosi penultimo al Festival ma divenuto una vera e propria hit con il passaggio in radio.
Se già in Rispetto prendeva forma il marchio di Zucchero, nell’album Blue’s si giunge alla fusione tra musica nera afroamericana e rock ‘n’ roll. Basti pensare al refrain di “Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica“.
A questi generi Zucchero mescola perfettamente il soul e l’R&b, senza però mai perdere la sua italianità. Secondo Salmo è proprio “il suo blablare parole inesistenti in inglese” a far risaltare l’unicità della musica e della voce del cantante.
Tra le prime grandi collaborazioni e le chiamate da parte di giganti della musica come Eric Clapton, Miles Davis, Bono, Brian May e il successo dell’album Oro, Incenso e Birra, di brani come Madre Dolcissima, Dune Mosse e You are so beautiful, Zucchero non perde mai se stesso.
Anche se a perdersi è proprio lui: la malinconia che lui definisce “una parte di me” degenera in una profonda depressione durata dal 1989 al 1995 circa. Nel film Bono dice di trovare qualcosa di mistico nel modo in cui Zucchero “sa accettare la tristezza senza esserne del tutto sopraffatto“.
Infatti a quegli anni risale uno dei più grandi esperimenti della musica italiana: l’unione di musica pop alla lirica. In pochi minuti appena sveglio, Zucchero scrive Miserere lasciandosi cullare dal suo stato d’animo (Misero me / Però brindo alla vita) e la propone a Luciano Pavarotti. Per farla sentire al grande maestro chiede ad un giovane tenore di interpretare la parte: per Andrea Bocelli si apre la strada al successo internazionale.
Tra Zucchero e Pavarotti, o meglio tra Adelmo e Luciano nasce una forte amicizia al punto da “parlare in dialetto romagnolo nelle nostre cene a New York” e da dar vita al progetto “Pavarotti & Friends“, giunto a ben 12 edizioni.
“Pur essendo planetario” racconta Zucchero alla Festa del Cinema di Roma “quando tornava a casa parlava in dialetto e giocava a briscola con gli amici, era rimasto se stesso. Così come Bono, Sting e altri amici che frequento da vent’anni: puoi essere anche Gesù Cristo o il Re d’Inghilterra, per farmi pensare che possa nascere un amicizia deve esserci la genuinità. Ognuno nella vita artistica fa l’attore, anch’io lo sono sul palco e in TV, ma poi quando esci da lì devi essere genuino.“
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Sarà la genuinità delle cose semplici ad aiutare Zucchero ad uscire dalla sua depressione, in maniera molto graduale: “il Louisiana Soul mi ha salvato la vita: ristrutturando quel posto, mi sono ricostruito anch’io“. Un luogo di rinascita: si percepisce nel primo album scritto nel suo nuovo “rifugio”: Spirito DiVino.
Dopo una ventennale collaborazione con Corrado Rustici, inizia quella con Don Was: i cinque album Fly, Chocabeck, La sesion cubana, Black Cat e D. O. C. Le sue tournée toccano letteralmente i cinque continenti.
“Io vengo da un’altra terra, da un altro paese, da un’altra solitudine” canta Zucchero in Voci, citando una poesia del reggiano Gino Belli.
Zucchero ammette con una non velata malinconia di non riuscire a sentirsi a casa in nessun posto, se non paradossalmente quando è in tournée. Ma il docufilm si chiude con il cantante che lascia il suo inseparabile cappello sull’asta di un microfono. In sovrimpressione una citazione di Marvin Gaye:
“Ovunque poso il mio cappello, quella è casa mia.“
Come a dire che a volte casa può non essere un luogo. Perché la casa di Zucchero in realtà è la sua musica.
(Foto: Festa del Cinema di Roma)