Festa del Cinema di Roma. “Un amor” è un film senza passato
Tra i film in concorso alla Festa del Cinema di Roma è stato presentato Un amor di Isabel Coixet.
La regista spagnola, conosciuta per Le cose che non ti ho mai detto e La vita segreta delle parole, mette in scena l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo della scrittrice e poetessa Sara Mesa.
Il titolo potrebbe ingannare: Un amor non è un film romantico o sicuramente non rientrerebbe nella categoria “sentimentale”. Si tratta invece di un racconto arido e senza peli sulla lingua: 128 minuti di tonalità sul grigio e di contenuti non facilissimi da digerire.
Nel cast troviamo Laia Costa nei panni della protagonista affiancata da Hovik Keuchkerian, Hugo Silva, Luis Bermejo, Ingrid García-Jonsson.
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Cuore della storia – anche se forse cuore non è proprio l’organo esatto – è Natalie, detta Nat (Laia Costa), una giovane donna minuta dai capelli castani a caschetto spesso scompigliati e dallo sguardo turbato, spesso con lacrime che velano i suoi occhi scurissimi.
Nelle prime scene del film e nei successivi flashback la vediamo lavorare come traduttrice simultanea dai dialetti africani per i rifugiati nella fase in cui le autorità decideranno del loro destino: quelle che Nat traduce ogni giorno sono storie tragiche e terribili di donne immigrate.
Schiacciata dal peso che la sua scelta delle parole può avere sul futuro di queste vittime e tormentata dagli incubi circa le storie orribili che ascolta tutti i giorni, decidere di mollare tutto. Vive il licenziamento – anzi il cambio di lavoro: ora traduce testi e articoli per la stessa agenzia – più come una liberazione che come un dispiacere, anche se appare ancora continuamente tesa e turbata.
Va ad abitare a La Escapa, un paesino della Spagna rurale, in una casa diroccata e malconcia che accetta disperata per l’affitto basso. Una casa che fa, letteralmente, acqua da tutte le parti.
Ma la scelta di andare ad abitare in una campagna isolata e bucolica in realtà non si rivela la migliore: l’accoglienza che riceve lascia a desiderare. A partire dal proprietario di casa aggressivo e incurante, che la tratta con disprezzo senza nessun apparente motivo e le lascia subito un cagnolino pieno di cicatrici, molto probabilmente escluso dal suo allevamento abusivo di cani da combattimento, non lasciandola però libera di prendersene cura come vorrebbe.
Anche il vicinato è strano: appare molto sospettoso, eccessivamente gentile e informato su tutto, da risultare presto invadente per Nat. Soprattutto gli uomini sembrano, in generale, corteggiatori e predatori.
Come Andreas (Hovik Keuchkerian), il vicino grande e grosso che si offre di ripararle il tetto ma in cambio di qualcosa. E glielo dice schiettamente e freddamente così: entrare in lei.
Nat inizialmente sembra resistere all’ambiente ostile e contorto in cui si ritrova, ma poi entra nel gioco di una passione ossessiva e in un turbinio di azioni e reazioni malsane da parte di tutto il vicinato. In un film ombroso e imprevedibile, svolgerà un ruolo importante la storia del cagnolino/a (si scoprirà essere ermafrodito). l’unica che sembra andare in senso contrario alla degenerazione totale del film.
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Un amor sembra essere l’autopsia di un amore. Non in quanto relazione, ma proprio come sentimento. Anzi, neanche sentimento. Di quello che un rapporto può comportare su una ragazza già provata e inserita in un contesto morboso.
E avendo parlato di nascita e morte di un amore, nel finale completamente inaspettato e fortemente intenso si può parlare di rinascita. Di Nat che risorge dalle proprie ceneri come una fenice. E della rinascita dell’amore sotto tutt’altra forma.
Un finale esplosivo, simbolico ma anche istintivo, semplice ma significativo.
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Un amor è un film con un grande assente: il passato. Effettivamente non sappiamo nulla della vita precedente di Nat, tranne che fosse una traduttrice e una ballerina fino ad un certo punto. Nient’altro: è stato solo il suo lavoro a turbarla così? Perché è così sola (se lo è veramente)? Perché ha scelto quel posto? Perché ha smesso di ballare? Perché non ha soldi?
Per non parlare degli altri personaggi: cosa è successo al cane? Chi è il proprietario di casa? E la storia del viscido vicino? Cosa è successo tra Andreas e la vicina? Che fine hanno fatto le suore? E perché l’anziana vicina ne parla ancora al presente? – dice “Qui ci sono suore che mentono e pu**ane che pregano“, così completamente a caso.
La lista di interrogativi potrebbe essere infinita: certo, in tanti film non viene raccontato il passato dei protagonisti, ma nell’opera di Isabel Coixet il passato fa notare la sua assenza e torna continuamente come un fantasma.
Torna per prendere a morsi (letteralmente) il tentativo di ricominciare da capo. Come un pugno dritto allo stomaco. Così come d’altronde fa tutto il film.
(Foto: Festa del Cinema di Roma)