Festa del Cinema di Roma. “Accattaroma”: si può emulare Pasolini?
Durante la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stato presentato Accattaroma di Daniele Costantini nella sezione Freestyle.
Nel cast: Massimiliano Cardia, Simone De Bianchi, Samuel Garofalo, Francesco Cassibba, Elisa Sciotti, Alessandro Martellucci, Elisa Rocchetti, Daniele Cartocci, Martina Ballardini, Carolina Di Porto, Maya Tenaglia, Krizia Moretti, Maria Elena Cianni, Marianna Cipriani e Daniele Casalino.
La trama
Accattaroma, quasi completamente in bianco e nero, inizia con delle istantanee dei quartieri di borgata che ricordano quelle delle grandi opere del neorealismo. Ma le scritte e i graffiti sui muri (e poi un riferimento a Carlo d’Inghilterra) svelano da subito un’ambientazione più vicina al presente.
Campo lunghissimo: da lontano si avvicina molto lentamente un uomo che indossa un pantalone nero e una camicia bianca sotto cui si intravede una lunga collana massiccia. Si tratta di Vittorio (Massimiliano Cardia), un uomo sui quarantacinque anni, un borgataro sul cui passato ci sono tante leggende e pochi dati di fatto. In una caldissima giornata d’estate parte da via del Mandrione, a piedi, verso una destinazione poco chiara.
O meglio, l’unica cosa che sappiamo per certo è il nome della località: il Rio della Grana, che si trova “laggiù”, vicino alla Borgata del Gelsomino (che nessuno ha mai sentito nominare), esattamente a “mille metri dalla camera da letto del Papa”.
La motivazione? Incontrare un suo vecchio “amico di famiglia da tre generazioni“, Aurelio, che forse gli affiderà un lavoretto, forse gli darà dei soldi, forse in realtà non gli darà proprio niente.
Ma a dargli la forza di continuare a camminare per ore sotto il sole cocente sembra essere la determinazione con cui vuole vedere il Rio della Grana, su cui conserva delle testimonianze dettagliate in un quadernino. Lo spettatore ignora da dove provengano ed è portato a chiedersi se siano state raccolte dal protagonista: a volte Vittorio fa fatica a leggerne alcune parti ad alta voce.
Durante il suo lentissimo viaggio Vittorio incontra ragazze e ragazzi del suo quartiere, che cercano di “svoltare la giornata” affranti dal caldo e dalla mancanza di soldi.
Leggi anche: Festa del Cinema di Roma. “Il camorrista – la serie” di Giuseppe Tornatore in onda dopo trent’otto anni
“Ma se nun c’hai storie da ricontà, che ce vai a fà ar bar? Che campi a fà?” chiede Vittorio al suo primo compagno di viaggio, Ruggeretto (che ricorda all’orecchio il Riccetto di Ragazzi di vita). Questa domanda torna più volte come un refrain all’interno di Accattaroma: Vittorio ama raccontare storie ponendo la condizione che i suoi interlocutori le raccontino a loro volta ai propri conoscenti.
Non storie qualsiasi: il protagonista racconta le trame dei personaggi dei film pasoliniani Accattone, Stracci e Mamma Roma, come se fossero davvero esistiti. Accattaroma vuole essere un percorso romano nel nome di Pier Paolo Pasolini.
Attenzione: assolutamente non da un punto di vista cinefilo. Anzi tutto il cinema di poesia sparisce nei discorsi di Vittorio che racconta le storie dei film di Pasolini come se si trattasse di favole o avventure di persone da lui conosciute intimamente, non risparmiandosi sul patetismo, per cercare di catturare l’attenzione dei ragazzi ed imprimere le trame (non sempre riuscendoci) nella loro memoria.
Personaggi e forzature
Vittorio è un personaggio lontano dalla figura paternalistica, di maestro o saggio del paese che potrebbe sembrare: tende a fare moralismi eccessivi e parlare per frasi fatte, ma risulta anche arrogante usando continuamente espressioni come “Ma te vòi sta zitto?! Ma vòi caminà o no?!“, così in mezzo al discorso.
Se ancora non fosse chiaro: in tutto il film si parla solo un forte dialetto romanesco di borgata.
Più che un’emulazione, nel complesso il protagonista appare come una sorta di caricatura dei personaggi pasoliniani.
Spesso sembra creare dal nulla perle ma in realtà dice banalità come “Se n’omo col cric incontra n’omo col fero, quello col cric è n’omo morto“.
E i coprotagonisti non sono assolutamente da meno: Ruggeretto e i suoi due compari Amerigo e Begalone, Nasca, Nicoletta e Scintillone, Maddalena, Crocifissa e Rossana, Stella la barista e la Biondina (che vediamo percorrere la stessa strada in episodi più o meno separati) potrebbero essere gli eredi dei protagonisti di Accattone, anche se con qualche evidente forzatura.
Leggi anche: Festa del Cinema di Roma. “La chimera” di Alice Rohrwacher tra furti, arte e morte
L’andatura molleggiante di Ruggeretto e dei suoi amici – così come quella di Vittorio – tenta di replicare quella dei personaggi di Accattone diventando innaturale e dilungando i relativamente pochi 85 minuti di film.
La pragmatica e tenace Nicoletta e il suo geloso ragazzo Scintillone affrontano con Nasca – che ha capelli sporchi e atteggiamenti curiosi, ossessionato dalla necessità di vendere il suo crick ma è l’unico ad avere un’auto – si avventurano in discorsi sull’inconscio e sul sogno ma restando sempre su un livello superficiale. Utilizzano luoghi comuni e fanno discorsi sconclusionati (ad esempio la questione di Penelope/Pelepone che nasce completamente nulla). O ancora si degenera in scene poco realistiche, che rimandano alle scene oniriche dei film pasoliniani – si noti come le scene del sogno siano rese a colori.
La piccola sognatrice Maddalena contrapposta, quasi come una figura materna, a Rossana e Crocifissa – presumibilmente spacciatrici -che litigano e si insultano pesantemente senza peli sulla lingua fasciate in abiti sensuali.
La barista Stella, visibilmente molto giovane, costruita invece come una donna sola e forte con un caratteraccio, che non fa altro che urlare spargendo lezioni di vita.
D’altronde i ragazzi della borgata che occupano i tavolini del suo bar – che Stella vorrebbe lasciare liberi e puliti per “i clienti quelli bboni che pagheno” – hanno una caratteristica comune: sono tutti a corto di denaro. O “morti de fame“, come direbbe la barista, al punto da non potersi permettere la minima consumazione.
Tutti cercano di ottenere il credito e scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità facendo discorsi generalisti che tirano in ballo grandi questioni di ingiustizia sociale (la cattiveria nel mondo, le guerre, le condizioni dell’economia italiana, la fame nel mondo, ecc.), rendendoli argomenti quasi scontati e banali. Un’arrampicata sugli specchi, restando sempre sulla superficie, contro “questa zozza società, questo monno ‘nfame“.
Leggi anche: Festa del Cinema di Roma. Lisandro Alonso presenta Eureka! – tre film in uno
A sorpresa, tra i ragazzi radunatisi per caso ma ben prevedibilmente al bar, sbuca dal nulla una ragazza “biondina” per raccontare la storia del poeta assassinato: “era il 2 novembre 1975” e le parole della giovane si intrecciano al servizio del telegiornale andato in onda al ritrovamento del cadavere di Pier Paolo Pasolini da parte della signora Maria Lollobrigida. Seguono le scene del funerale del grande artista.
Si noti come l’aggiunta di questo ultimo racconto, con la precisazione della data, infrange un’illusione: gli abiti, le acconciature e soprattutto le calzature dei personaggi (ma anche l’aspetto del bar di Stella) sembravano suggerire una continuazione con i personaggi dei film pasoliniani.
Insomma in Accattaroma ci sono diversi aspetti che restano in sospeso e possono lasciar lo spettatore perplesso: a partire dal motivo iniziale del film, la ricerca di Rio della Grana che si “conclude” in un finale sorprendente.
Un azzardo troppo rischioso (?)
Quasi quindici anni dopo aver girato Accattone, in occasione della sua messa in onda nel 1975, Pier Paolo Pasolini scriveva in uno dei suoi ultimi articoli le seguenti parole:
“Se io oggi volessi rigirare Accattone, non potrei più farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo “corpo” lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi in Accattone.”
Lo si può fare nel 2023? Accattaroma riuscirà nel suo intento di creare un ponte con quelle storie sentite quasi come familiari e di far conoscere ai giovani i contenuti dei film di Pier Paolo Pasolini, ma senza risultare eccessivamente una forzatura?
Al pubblico, più o meno esperto di cinema, il compito di stabilirlo.