Fernando Botero compie 90 anni
Fernando Botero compie oggi 90 anni. Proprio per festeggiare questa “cifra tonda” parliamo delle sue tipiche figure rotondeggianti, dilatate, avulse dal tempo che lo hanno reso uno dei pittori più amati e celebrati dalla cultura di massa.
Una gioventù dedicata all’arte
Botero nasce il 19 aprile 1932, a Medellin in Colombia, dove frequenta la scuola elementare per poi proseguire gli studi in una scuola di Gesuiti. Sin da bambino mostra una forte predisposizione per l’arte e l’architettura, tanto che a soli 16 anni disegna le illustrazioni per “El Colombiano”, il giornale più importante della sua città. Giovanissimo, nel 1948 espone per la prima volta a Medellín.
Nel 1952 vince il secondo premio al IX Salone degli artisti colombiani, e con i soldi guadagnati, compie il suo primo viaggio in Europa. In Spagna visita il Museo del Prado di Madrid, dove si imbatte nelle opere di Francisco Goya e Tiziano. A Parigi conosce l’arte d’avanguardia francese e approfondisce lo studio degli antichi maestri. Approda infine in Italia dove rimane colpito dai capolavori del Rinascimento.
A ventitré anni torna in patria e sposa Gloria Zea, ministro della cultura in Colombia: il loro figlio, Fernando Botero Zea, diventerà poi ministro della difesa. Divorzia da lei cinque anni dopo.
Nel 1958 ottiene la cattedra di pittura all’Accademia d’arte di Bogotá e vince il primo premio all’XI Salone con l’opera La camera degli sposi. Nello stesso anno espone alla Gres Gallery di Washington e vende tutte le sue opere durante il primo giorno di esposizione.
Il successo in Europa e negli Stati Uniti
Nominato alla Biennale colombiana, è costretto ad andarsene dal suo paese a causa delle numerose critiche mosse contro di lui proprio dai suoi connazionali, più favorevoli alle sperimentazioni dell’arte francese. Botero si trasferisce a Washington ma, sfortunatamente, la galleria dove espone chiude ed il pittore si ritrova in serie difficoltà economiche.
La situazione sembra risollevarsi nel 1961, quando il Museum of Modern Art di New York acquista il suo Monna Lisa all’età di dodici anni; l’artista così apre uno studio a New York, dove approfondisce e colleziona le opere di Pieter Paul Rubens. Nel 1964 convola a nozze per la seconda volta unendosi a Cecilia Zambrano.
Nel 1966 viene organizzata la sua prima personale in Europa, nello specifico in Germania. Tale evento, congiuntamente a una mostra organizzata al Milwaukee Art Center, lo aiuterà a raggiungere la vetta della fama. Tutto il mondo sembra interessato all’artista colombiano, dall’Europa a New York, al suo stesso paese d’origine, che prima lo aveva rinnegato.
Nel 1969 espone anche a Parigi ed inizia a viaggiare frequentemente alla ricerca di nuove idee tra le città di Bogotá, New York e le capitali europee. Nel 1973 decide di stabilirsi definitivamente a Parigi, dove rimarrà fino all’1983 dedicandosi quasi esclusivamente alla scultura.
La scultura e l’amore per Pietrasanta
La scultura diventa una costante per Botero per quasi vent’anni, complice forse anche un terribile incidente d’auto subito nel 1974. In quel tragico evento muore il figlio Pedro Botero di soli quattro anni e lui perde l’ultima falange del mignolo della mano sinistra. Al bambino il pittore dedicherà moltissime opere e sculture, inoltre in questi anni realizza grandi manufatti raffiguranti mani aperte, probabilmente ispirato dall’incidente subito.
Nel 1978 Botero si sposa per la terza volta, con Sophia Vari e negli anni Ottanta si trasferisce a Pietrasanta, in provincia di Lucca per avere a disposizione le rinomate cave di marmo della zona, ideali per la realizzazione delle sue sculture.
Proprio a Pietrasanta nel 2007 sono state rubate sette statue in bronzo dell’artista per un valore complessivo di circa 4 milioni di euro. Nel 2008 i responsabili vengono arrestati, ma si recuperano solo tre delle sette creazioni. Nella città italiana comunque, in via Marconi, si può ammirare Il guerriero, una sua scultura bronzea alta 4 metri.
Nel 2012 Botero dona al museo colombiano di Antioquia ventisette tele ispirate al tema della Via Crucis, esposte a New York, Medellín, Lisbona, Panama e Palermo. Nel 2020 l’artista regala un suo dipinto al Comune di Pietrasanta per fornire un aiuto concreto contro l’epidemia Covid-19.
Lo stile artistico
Da anni Botero divide la critica tra coloro che vogliono vedere in lui una celebrazione del consumismo e degli eccessi della vita, a coloro che invece lo giudicano un artista anticonvenzionale, legato a una rappresentazione che travalica i confini della realtà per esaltare la forma e il colore. Le rotondità tipiche dei suoi soggetti si ricollegano alla perfezione della sfera, principio base dell’arte classica, mentre i rimandi a elementi popolari, come piccoli animali o oggetti di uso comune, celebrano la cultura folkloristica della sua terra d’origine.
La dilatazione e la rotondità delle forme si rivelano un passaggio fondamentale per la valorizzazione del colore, steso a campiture piatte in tutta la sua purezza. L’autore si rivela distante dai suoi soggetti ed è proprio questa freddezza che fa scomparire dai personaggi la dimensione morale e psicologica. Gli sguardi sono sempre persi nel vuoto, gli occhi non battono, sembra quasi che osservino senza guardare.
Botero non si è mai occupato di stereotipi femminili né di denuncia di certi regimi alimentari. Nel documentario “Botero – Una ricerca senza fine”, diretto dal canadese Don Millar, uscito nel gennaio 2020 lui stesso dichiara: “Non dipingo donne grasse, io faccio uomini, animali, paesaggi, frutta con lo scopo di comunicare sensualità alla forma. A me piace comunicare questa pienezza, questa generosità, questa carnalità, perché la realtà è arida.”
Religione e impegno sociale
Botero avverte nel suo tempo una sorta di vuoto generazionale che cerca di compensare sia raffigurando spesso soggetti religiosi, Cristo Crocifisso o la Madonna col Bambino, sia attraverso opere basate su temi di importanza sociale.
Nel 2005 ha realizzato una serie di circa 50 dipinti, “Abu Ghraib”, basata sugli abusi delle forze militari americane nei confronti dei detenuti iracheni durante la guerra in Iraq. La serie ha richiesto più di quattordici mesi per essere completata e raffigura i corpi dei prigionieri legati, imbavagliati e ammucchiati; per questa opera di denuncia sociale e per l’intensità delle rappresentazioni l’artista ha ricevuto importanti riconoscimenti durante la sua prima esposizione in Europa.
La sua indubbia onestà intellettuale lo ha spinto a non mettere in vendita nessuno dei quadri in questione con l’intenzione di donarli ai musei che ne avessero fatto richiesta.
Convinto della legittimità della sua arte, Botero ha dichiarato: “L’artista non ha il potere di cambiare le cose, ma allo stesso tempo ha il potere di mettere insieme opere che servano come testimonianza permanente di quello che accade. Nessuno avrebbe ricordato gli orrori di Guernica senza il capolavoro di Picasso”.