Federico II, l’universalità dell’Impero
Federico Ruggero di Hohenstaufen, ricordato più semplicemente come Federico II, nacque a Jesi il 26 dicembre del 1294.
Fu re di Sicilia, duca di Svevia, re dei Romani, re di Gerusalemme. Ma soprattutto imperatore del Sacro Romano Impero, incoronato da papa Onorio III nel 1220.
Lo stupor mundi ebbe il destino segnato sin da subito. Alla sola età di 4 anni ereditò infatti la corona dell’Italia del sud. Figlio di Costanza d’Altavilla e di Enrico VI fu nipote di Federico Barbarossa. Il suo nome di battesimo, avvenuto ad Assisi, esplicita l’universalità della sua figura. In lui andarono a confluire i regni germanici e le terre del meridione.
Sin da bambino fu cresciuto tra filosofia, religione e politica. Soprattutto in quella Sicilia collegamento fondamentale con il mondo islamico che Federico II riuscì a legare l’Occidente. La sua formazione fu da lui attuata in senso aristotelico per la crescita e il benessere dello Stato.
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Il continuo ricercare un coesistenza tra mondo occidentale e realtà islamica fu uno dei capisaldi della sua politica. La ricerca di una verità. Fu sempre propositore di una ricerca delle differenza. Di un’assimilazione di culture in senso romano.
Non una sostituzione. Non una denigrazione. Ma un’assimilazione. Tutto per la crescita e il rafforzamento dello Stato e della sua cultura e delle tradizioni. L’essere cresciuto a Palermo, centro multiculturale per eccellenza nel XIII secolo, gli permise di maturare un atteggiamento di convivenza, di scambio culturale. Non di conversione forzata al cristianesimo.
Ebbe sempre rapporti privilegiati, e controversi, con la Chiesa, tanto da essere più volte invitato a guidare una crociata in Terrasanta. Rimandò più volte questa missione, sia per non abbandonare le sue terre lasciandole alla mercé di nobili sia per la convinzione che i rapporti con l’Oriente non dovessero essere basati sulla guerra.
Quando non poté più rimandare la partenza, lo fece a modo suo. La diplomazia fu la sua unica arma. Nessun morto, nessuna guerra. Arrivò a stringere la mano al sultano Malik al-Kamil, nipote del Saladino, e ottenne Betlemme, Nazareth e Gerusalemme, a patto che ai musulmani fosse concesso l’accesso alla città santa. Fu poi anche incoronato re di Gerusalemme.
Lì, durante il suo soggiorno, si accorse che il funzionario del sultano fece sospendere i richiami dei muezzin alla preghiera per rispetto nei suoi confronti. La sua risposta, narrata dal cronista arabo Sib ibn-al Giawzi, fu eloquente. “Avete fatto male, o cadì” Volete voi alterare il vostro rito e la vostra legge e fede a causa mia? Se foste voi presso di me nelle mie terre, sospenderei io forse il suono delle campane a causa vostra?”.
Discendente sia del Barbarossa che di Costantino fu una figura carismatica, dalla personalità poliedrica. Suscitò amore e odio, sia nei suoi contemporanei che in chi visse dopo di lui. Lo stesso Dante lo confinò tra gli eretici insieme a Farinata degli Uberti (“Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico”).
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Amante della cultura in ogni suo aspetta, fu un uomo coltissimo, una sorta di Mecenate del suo tempo. Ospitò infatti i più grandi intellettuali cristiani, arabi ed ebrei. I rappresentanti di quelle culture che mai, come sotto il suo impero, vissero in armonia. Fu anche tra i più grandi legislatori medievali, secondo forse solo a Giustiniano.
Con Federico II fiorì la scuola poetica che l’Alighieri nel “De Vulgari Eloquentia” definì “siciliana”. Lo stesso imperatore, con Jacopo da Lentini, Pier delle Vigne e Jeanne de Brienne, fu tra i maggiori esponenti di questa lirica.
Di lui tessero le lodi personaggi come Voltaire, che di tutto il Medioevo salvò solo Maometto, Saladino e lo stesso Federico II. Nietzsche addirittura lo definì “il primo europeo di mio gusto”. Ma la sua politica generale tradizionale e conservatrice fu innestata di molti elementi innovatori.
La cultura normanna-meridionale, le tradizioni ellenistiche e arabe gli consentirono di avere un’apertura mentale molto avanti per la sua epoca. Discuteva della Bibbia, del Talmud con filosofi e religiosi.
Lo Stupor Mundi basò il suo concetto imperiale su Roma. Riconduce all’Urbe, diversamente dal nonno, l’origine dell’Impero. La sua politica fu devota alla renovatio imperii, partendo dall’unificazione della penisola italica.
«Destinatovi, vinta Milano, il Carroccio di questo comune, come preda e spoglia del nemico, vi sia pegno delle nostre grandi imprese e della gloria nostra, deliberati noi a scioglierlo nella sua integrità non appena vedremo pacificata l’Italia, sede del nostro romano impero». Le sue parole spiegano pienamente l’intenzione e la volontà di sviluppare un regno con al centro Roma e l’Italia.
In questo quadro rientra anche la decisione di porre il figlio Corrado come co-reggente in Germania.
“Nella nostra età si mostri nuovamente la dignità del sangue romuleo, torni a risplendere la lingua degli imperatori romani, sia rinnovata l’antica dignità romana e si annodi il nesso indissolubile della grazia nostra fra l’Impero Romano e i cittadini di Roma”.
L’idea di un Impero universale passò dunque da Roma e dall’Italia, tramite anche l’alleanza con le famiglie nobili romane come i Colonna, gli Orsini e i Frangipane. Fece guerra alle forze disgregative e personalistiche, come il Papa e i Comuni, per un’idea superiore di unità.
Fu senza dubbio il sovrano illuminato più affascinante d’Europa.