Da Platone ad oggi: la ricerca della propria metà
L’ennesimo febbraio è alle porte e già l’affetto riempie l’atmosfera e l’aria si fa rossa dei glitter sparsi dai palloncini a forma di cuore. Sì, oggi sembra tutto ridotto ai cioccolatini e alle cene romantiche ma, ahinoi, la ricerca dell’amore eterno è una cosa seria, e gli antichi greci lo sapevano bene.
Un mito, descritto da Platone nel Simposio (V sec a.C.) e raccontato durante la cena direttamente dalla bocca di Aristofane, ci illumina sul motivo per cui cerchiamo così ostinatamente una persona con cui condividere l’esistenza, la cosiddetta anima gemella.
Ma perché crediamo che da qualche parte del mondo ci sia la metà esatta della nostra mela? È proprio sulla questione della “metà” che intendiamo soffermarci.
Inizialmente infatti, gli uomini esistevano solo come maschi, femmine o ermafroditi. Non, però, individui separati, ma corpi unici. Formati da 8 braccia e 8 gambe, erano esseri di forma circolare che per muoversi dovevano ruotare su loro stessi, uniti anche nelle teste, in modo tale da non potersi mai guardare negli occhi.
Questi umani misteriosi e primordiali erano però estremamente arroganti e polemici, tanto da decidere di sfidare gli dei stessi. L’ira di Zeus si abbatte ovviamente su di loro, ma invece di cancellarli dalla faccia della terra e rinunciare ad un considerevole numero di servi, il dio degli dei trova una punizione più creativa: li raddoppia.
Separa allora quei corpi, ad ognuno andranno 4 arti e una testa, le ferite, sanate da Apollo in seguito alla separazione, si chiudono tutte nell’ombelico, che resti, questo foro al centro del corpo, per ricordare a tutti noi di non sfidare mai i numi. Tutto viene diviso, tranne per ora, gli organi genitali.
Così, separati, questi nuovi umani proseguono le loro vite. La sensazione costante però, dentro, nel profondo, è che gli manchi una parte. Proprio quella, sì, l’altra metà. Così tristi e soli, vagano sulla terra alla ricerca di quello che hanno perso, tentando in tutti i modi possibili di riunirsi alle altre parti, adesso perdute. E se e quando si ritrovano, l’eccitazione e la frenesia sono s incontenibili, ma la tristezza di non potersi riunire lo è ancora di più, tanto da abbandonarsi completamente, fino alla morte.
Gli dei allora, ancora una volta, trovano un modo per permettere agli umani di unirsi ancora nel profondo pur rimanendo entità separate. Posizionano al di sotto dell’ombelico degli organi genitali complementari, così quando si incontrano, i gemelli possono ricongiungersi, anche se solo per quei brevi momenti, come era in origine. Colmando, per un poco, quel terribile vuoto che sono costretti a portarsi dietro.
Lo so, non sembra molto romantico raccontato così, ma in fondo cos’è la ricerca dell’amore se non il costante tentativo di alleviare le pene della solitudine? Si sa, del resto, mal comune mezzo gaudio.
Photo by Ylbert Durishti