Un secolo di Eva Fischer, ricordo dell’artista scampata alla Shoah
Articolo di Alan Davìd Baumann
Nasceva cento anni or sono, il 19 novembre 1920, la pittrice Eva Fischer, scomparsa a Roma nel luglio 2015. Ha sempre e solo fatto l’artista, ha conosciuto i grandi dell’epoca, ha vissuto ed è sopravvissuta grazie ai suoi colori.
La sua vita ha avuto tonalità chiare e scure, basti ricordare quando dopo la deportazione del padre per mano nazista, è dovuta fuggire da Belgrado, per scegliere di consegnarsi sulle sponde adriatiche agli “italiani brava gente”, come lei ha sempre sostenuto; poi ha ottenuto il permesso di lasciare il campo di raccolta dell’Isola di Curzola per recarsi a Bologna, dove ha vissuto sotto falso nome e collaborato con i partigiani. Permesso richiesto per curare la madre malata ed acquisito grazie ai ritratti che aveva fatto ai soldati italiani.
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A fine guerra scelse Roma come luogo dove ricostruire la propria vita e lì entrò a far parte della Scuola Romana del dopoguerra di cui è stata l’ultima rappresentante in vita. Si è allontanata sporadicamente dalla Città Aeterna per trascorrere un periodo a Parigi per continuare a parlare con l’amico Marc Chagall. Lo ha fatto anche recandosi a Madrid per confrontarsi nuovamente con Pablo Picasso e Salvador Dalì. Ad Eva piaceva scambiare opinioni, punti di vista che si inserirono nei cambiamenti della società dell’epoca, nella ricostruzione e nel miracolo economico degli anni cinquanta e sessanta del XX° secolo.
E’ stata protagonista della cultura per tutta la vita, nominata “artista europeo” decenni prima dell’attuale Unione Europea, poi Cavaliere della Repubblica dal Presidente Napolitano. Una vita colma di condivisioni con personalità politiche, economiche, artistiche e non solo. E’ stata una figura importante del Novecento, ma anche dei primi anni del Duemila. Sulla tomba è incisa la sua frase ricorrente “Non è arte se non crea emozioni”.
Emozioni a colori, dai suoi “Momenti capresi” ai “Muri”, dai “Mercati rionali romani” alle sue “Biciclette” stanche, innamorate, vecchie … Velocipedi, come vennero chiamate durante un’intervista di sessant’anni fa, che le diedero così tanta notorietà che quando il 9 maggio 1963 si sposò con il giornalista, artista, scrittore e poeta Alberto Baumann, il “Ciak – cinegiornale” (praticamente il telegiornale-rotocalco dell’epoca) portò al Campidoglio di Roma delle bici per gli sposini ed il seguito.
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L’ultima tematica delle “scuole di ballo”, forse per un desiderio ancestrale che dipinse dai suoi 65 anni in poi, la indusse a creare opere su tele particolarmente grandi (140×200 cm.). I suoi momenti pittorici sono stati quella possibilità e desiderio irrefrenabile per suggellare quanto sentiva, vedeva ed immaginava, senza confini di tonalità, di immagini, di dimensioni.
Il suo “diario segreto” dove interpretò la Shoah e che aveva tenuto celato anche ai suoi cari per oltre quarant’anni, è forse l’unica tematica che l’ha rincorsa, martellata, senza possibilità di fuga. Ma lei, artista, è riuscita a crearsi delle “bolle d’aria”, dei permessi di parziale evasione, proprio raffigurando quegli orrori, quei ricordi che non le si sono mai allontanati.
Ha vissuto intensamente per quasi 95 anni, lottando come donna, come ebrea, come artista, come le tre cose assieme, perché rimase sempre convinta di tutto quello che era. Alcuni ricordano i suoi grandi occhi neri, la sua grazia, ma soprattutto i colori dei suoi quadri, spesso melanconici, sempre arricchiti dalle trasparenze create dal suo stile personalissimo. Ennio Morricone sosteneva che il suo tratto fosse dotato di una forza maschile, tanto da dedicarle un CD dal titolo “A Eva Fischer pittore”.
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E’ in corso di compimento – ritardato a causa del Covid-19 – la Fondazione Eva Fischer (ets), che continuerà a portare avanti gli insegnamenti di Eva per lo sviluppo e la diffusione della cultura.
Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, disse ad Oriana Fallaci durante un’intervista del 27 dicembre 1973: “Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla.” A titolo di curiosità Pertini e sua moglie Carla Voltolina erano dei buoni conoscenti di Eva, mentre la Fallaci scrisse della pittrice il 5 settembre 1954.