European Space Week 2020, l’astronauta di David Bowie tra stranezze spaziali e solitudini terrestri
La chitarra che fluttua, un lap top aperto in mezzo a centinaia di cavi e un foglio bianco, protetto dal cellophane, con scritto “recording in session“. La tastiera introduce una melodia in qualche modo familiare. I primi versi del cantato lo sono ancora di più: “Ground control to Major Tom, Ground control to Major Tom“. Siamo a maggio del 2013, però a cantare non è David Bowie ma Chris Hadfield, comandante della missione Expedition 35 sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Voce e chitarra sono state registrate a bordo della Stazione spaziale, il piano e gli altri strumenti sono stati aggiunti da un gruppo di collaboratori sulla Terra. Nel video si vedono anche delle suggestive immagini del nostro Pianeta prese dallo spazio. Il comandante ha leggermente modificato il testo della canzone tarandolo sulla sua situazione personale: Hadfield cita la navetta Soyuz. Il brano dura circa cinque minuti e ha il merito, oltre che di puntare l’attenzione sull’originalità e l’ironia di Hadfield (nel video il suo atterraggio è immaginato con paracadute e finisce piuttosto male) anche di riaccendere l’entusiasmo verso le esplorazioni spaziali.
Entusiasmo che non mancava neanche nel 1969, quando Bowie scrisse il pezzo in tempo utile per la missione Apollo 11, con un titolo, “Space Oddity”, che rifa il verso a quella Space Odyssey, titolo del famoso film “2001, Odissea nello spazio“, di Stanley Kubrick. Ma “oddity” è una stranezza, è la sensazione di straniamento di un astronauta che viene lanciato in orbita: la piccola palla blu del pianeta terra è lontanissima e lui, allo stesso tempo, è rapito dal paesaggio che si trova davanti ed eccitato per quello che sta vivendo, sa che è un pioniere, ma è anche spaesato da tanta immensità e tanta solitudine.
Si dice che il brano sia stato ispirato dalle condizioni a bordo degli astronauti di un altra missione Apollo (la numero 8), ma l’ansia della perdita del controllo ha tanto a che vedere con una dimensione individuale. All’inizio del 1969, dopo una serie di singoli fallimentari e un album d’esordio passato inosservato, le prospettive di Bowie come artista stavano sbiadendo e la sua relazione con Hermione Farthingale era giunta alla fine.
Alla luce della lite avvenuta durante la registrazione del video promozionale “Love You Till Tuesday”, proprio il giorno prima che Bowie incidesse la prima versione di “Space Oddity”, versi malinconici come “I think my spaceship knows which way to go” (“Penso che la mia astronave sappia quale via seguire”) contribuiscono a far vedere il brano in questa luce, vicina alla rassegnazione. Ecco, è questa prospettiva individuale l’anello di congiunzione della versione italiana “Ragazzo solo, ragazza sola” uscita come 45 giri nel febbraio 1970, con testo di Mogol.
Il verso “Planet Earth is blue, and there’s nothing I can do” si offre poi ad una lettura multivalente: “blue” non è solo un colore ma anche uno stato d’animo. “Il pianeta Terra è triste e non c’è nulla che io possa fare” assomiglia anche a una frase pronunciata dal cosmonauta sovietico Jurij Gagarin durante il volo orbitale attorno al pianeta.
David Bowie manda nello spazio un personaggio che non riesce a liberarsi dal “controllo a terra”, che dà indicazioni anche sul modo di porsi di fronte all’attenzione dei media. Un personaggio che, come ha scritto Neil McCormick sul Daily Telegraph l’8 ottobre 2009, “decide di andare alla deriva piuttosto che tornare su un pianeta in cui, come molti della sua generazione, si ritiene politicamente impotente”.
La tematica dei viaggi interstellari comunque affascina l’uomo moderno, la letteratura di Jules Verne o di Ray Bradbury ne è dimostrazione, e oggi nell’universo si muovono sempre più sonde e rover spaziali. Nel 1972 sarà “Rocket Man” di Elton John a muoversi nella stessa orbita. La canzone ritrova il tema del viaggio e della mancanza della famiglia, della casa, degli affetti. Nella stesura del testo, l’autore si è ispirato proprio all’omonimo racconto di Bradbury inserito nella raccolta “L’uomo illustrato”. Un lavoro prodotto da Gus Dudgeon, alla pari della stessa “Space Oddity”. David Bowie – come viene ricordato in questa puntata di Ticket to Ride – non gradirà molto e si ritroverà a cantare, ironicamente, qualche tempo dopo “I am a Rocket Man”.