Ecco Meltingpot l’alt rock dal cuore progressive dei Brandes: la nostra intervista
“Avremmo voluto pubblicare il nostro primo album in un momento di normalità, liberi di poter brindare a questa data per noi storica, ma la gioia è stata sovrastata dal dramma di queste ultime settimane”. I milanesi Brandes vincono su Instagram l’imbarazzo di lanciare il loro disco d’esordio, frutto di mesi di studio e sperimentazione, in questo tempo sospeso.
Una band con la mente negli anni Duemila ma il cuore nel progressive e nell’art-rock, pur rimanendo freschi e immediati. Brani imprevedibili, arrangiamenti molto ricercati per esser realizzati da ragazzi così giovani, e infine la voce profonda del cantante Cut a fare da collante.
Registrato ai RecLab Studios (Buccinasco, Milano) nell’estate del 2019, “Meltingpot” esce ufficialmente oggi, dopo di settimane di “ghost release”. Un lavoro nel quale i cinque ventenni milanesi hanno voluto esprimere la necessità e il desiderio di essere ascoltati e compresi su più livelli: quello musicale, quello artistico e quello umano.
Meltingpot è nato dall’istinto ma si è costruito poi pian piano con l’obiettivo di dare una forma strutturata a quelle che erano solo idee spontanee, brani nati senza schemi, avendo come unica linea guida la passione comune per l’alt-rock anni Novanta-Duemila. Il risultato è una tracklist caratterizzata da una significativa varietà stilistica nella quale si incontrano melodia e architetture strumentali complesse, linee vocali immediate e arrangiamenti sinfonici e orchestrali, sapore rock, sfumature lievemente progressive, art-rock e persino momenti in stile brit-pop.
Un melting pot, appunto, una mescolanza, un contenitore concettuale in cui ogni componente della band diventa un ‘ingrediente’. A fare da collante, infine, la voce profonda del cantante Cut (Ivan Cutolo) per un risultato finale stravagante e complesso.
I Brandes sono cinque ragazzi che scrivono musica poco ordinaria, poco da ragazzi, poco milanese. Si formano nel 2018 a Milano, accomunati da una grande passione per l’alt-rock ma il percorso tracciato successivamente comincia ad esplorare strade molteplici abbracciando le diverse influenze musicali di ogni membro. I Brandes sono Stefano Paiardi (chitarra), fondatore e anima organizzativa della band, Luca Brandes (tastiere), Alessandro Brunetti (basso), Ivan Dell’Anna(batteria) e Ivan Cutolo (voce).
La prima volta che conobbi Luca (il tastierista) – racconta Stefano, fondatore della band – mi presentò una suite da 13 minuti, lo guardai e gli dissi che la trovavo interessante ma che c’erano 10 minuti di troppo. Così abbiamo iniziato a lavorarci sopra e da allora continuiamo a farlo con la voglia di trovare un compromesso sapiente tra i nostri mondi. Dal punto di vista creativo, le dinamiche dei Brandes sono complesse: c’è chi ama la musica classica e chi il punk; chi è affascinato dalla nuova ondata della trap e chi invece la detesta. Ognuno di noi è attratto da qualcosa di diverso e se ci chiedessero che genere facciamo non sapremmo dare una risposta precisa: i nostri brani sono difficilmente categorizzabili e ci piace farci trasportare dalla loro stranezza ed imprevedibilità.
Il disco è stato anticipato dal singolo Divine Disorder: ispirazione proveniente dall’art-rock e da Jack White, dal pop sperimentale fino al prog-metal, riscoperti nella freschezza sonora della giovane band.
LA NOSTRA INTERVISTA. In primis, qualsiasi contatto non può prescindere dall’emergenza che stiamo vivendo in questi giorni delicati. Qual è la vostra prospettiva?
Certamente l’emergenza sanitaria attuale ha stravolto le abitudini di vita di tutti gli Italiani, specialmente quelle di noi musicisti. Se fai parte di una band poi, la questione si fa ancora più complicata. Le attività più basilari e necessarie per progredire come gruppo d’insieme vengono inevitabilmente a mancare, come il provare in sala e condividere poi i frutti del lavoro svolto con i fan tramite esibizioni live. E’ un momento difficile, che va affrontato col giusto senso di responsabilità – perché la salute viene prima di tutto – e con quel pizzico di ingegno e sforzo in più per far si che il progetto “Brandes” non si fermi . Attraverso lunghe videochiamate su Skype riusciamo a coordinare gran parte del lavoro che dev’essere svolto: ognuno di noi riceve i suoi compiti e li svolge individualmente da casa; che sia scrivere un assolo di chitarra per un nuovo inedito o annunciare con un post su Instagram la data d’uscita del nostro album.
Vogliamo inoltre cogliere l’occasione per esprimere il nostro supporto a tutti i musicisti che con l’hashtag #iosuonoacasa e con la loro musica, nonostante la distanza, ci fanno sentire più vicini. Infine, i nostri più calorosi ringraziamenti vanno a tutte le persone e gli addetti ai lavori che lottano ogni giorno per la nostra salute e quella di tutti i nostri cari.
Quanto avete dovuto rivedere della vostra attività live, anche legata alla promozione del vostro “Meltingpot”?
Purtroppo a causa di quest’emergenza, molti locali hanno cancellato o rimandato le programmazioni live perciò tutta la pianificazione del periodo primaverile/estivo è andate in fumo. Siamo coscenti della gravità della situazione e speriamo che il tutto si risolva al più presto, così da poter organizzare nuove date. Per quanto riguarda la promozione del disco rimarremo attivi sui social e cercheremo di avere un contatto diretto coi nostri fan anche in questo momento di difficoltà. Vedendo il bicchiere mezzo pieno, l’obbligo di stare a casa potrebbe portare ad un ascolto più attento ed elaborato dei nostri pezzi, il che ci farebbe molto piacere.
Le vostre canzoni sembrano percorrere tante strade dell’alternative rock, dalle ballate elettroacustiche ai suoni ripetitivi del punk, fino a sconfinare nelle suggestioni che ti aspetteresti legate al metal…
È proprio così! Mentre componevamo non ci siamo posti limiti e ricercando ciò che accendeva la nostra curiosità, siamo giunti a questo risultato. Fare alt rock nel nuovo decennio significa essere aperti all’idea di poter attingere da tutti generi del passato e della contemporaneità. Inoltre questa unione di influenze è dovuta ai diversi mondi musicali dai quali provengono i cinque membri del gruppo. Meltingpot, che è il nostro album d’esordio, è un vero e proprio viaggio alla ricerca dell’io musicale dei Brandes.
Come nascono i testi? Qual è l’ispirazione, letteraria o musicale?
I nostri testi nascono con l’intento di conferire orecchiabilità ad una base strumentale complessa e a volte disordinata. Sono ispirati alle melodie britpop/rock e sul piano lirico, per quanto diversi tra loro, trovano un punto d’incontro nella paura di non riuscire a lasciare il segno. Per citare un esempio: in “Quiet” , il conflitto interiore ci porta a riflettere su come sia importante perseverare nonostante le avversità e di non provare rancore nei confronti di chi ci circonda e ci giudica, perché è solo trovando l’equilibrio interiore che potremo mostrare al mondo ciò che siamo .
Come lingua abbiamo scelto di utilizzare l’inglese per la sua attinenza al genere e la sua maggiore musicalità.